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DOMANDA
RISPOSTA DI GIULIO MICIONI
Pregiatissimo Collega,
una cliente mi ha incaricato di agire civilmente nei confronti di alcuni medici che l'avrebbero offesa durante la degenza ospedaliera successiva ad un intervento chirurgico. infatti, al risveglio dall'anestesia, un medico, sentendo il suo lamento causato dal dolore dell'intervento, le avrebbe detto che se non la smetteva l'avrebbe presa a schiaffi; un altro nel corso di una vista di controllo avrebbe detto rivolgendosi ad altre pazienti lì presenti cose del tipo "questa dovrebbe essere ricoverata alla neuro".Tenga presente che la mia cliente ha problemi di natura nervosa per i quali è seguita da una psichiatra e tali fatti hanno inciso molto negativamente sul suo stato di salute psichica. Volevo sapere se a suo parere tali comportamenti sono inquadrabili come inadempimento da parte dei medici di un dovere di assistenza anche morale del paziente, dando luogo ad una responsabilità equiparabile a quella derivante da un errato interveno sanitario e se quindi è configurabile anche una responsabilità solidale della casa di cura privata.
La ringrazio per l'attenzione che vorrà concedermi.
Egregio Collega,
dalla sintetica esposizione dei fatti, così come rappresentati nel quesito, mi pare che non emergano profili di responsabilità civile, derivante da inadempimento delle obbligazioni assunte dal personale medico nello svolgimento delle prestazioni sanitarie, principali e accessorie, ma esclusivamente illeciti penali, conseguenti alla consumazione dei reati di ingiuria e diffamazione in danno della Sua cliente, fonti, in ogni caso, di responsabilità risarcitorie a carico dei due medici, autori degli illeciti.
La descritta condotta dei due sanitari assume rilevanza anche sotto il profilo disciplinare, in quanto l'art. 3 del Codice Deontologico Medico, a proposito dei Doveri del medico, prevede che: "Dovere del medico è la tutela della vita, della salute fisica e psichica dell'Uomo e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della libertà e della dignità della persona umana, senza distinzioni di età, di sesso, di etnia, di religione, di nazionalità, di condizione sociale, di ideologia,in tempo di pace e in tempo di guerra, quali che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera. La salute è intesa nell'accezione più ampia del termine, come condizione cioè di benessere fisico e psichico della persona".
Ritengo quindi che non sussista alcuna responsabilità solidale della casa di cura privata all'interno della quale sono avvenuti gli episodi descritti.
Caro Avv. Micioni sto assistendo un cliente, che è stato sottoposto ad un intervento chirurgico, in una casa di cura privata, eseguito da un medico, libero professionista e non dipendente della struttura sanitaria.
Il mio assistito, che ha subìto, a causa dell'operazione chirurgica, un gravissimo danno, ha provveduto a pagare le spese di ricovero direttamente alla clinica privata, ma non ha mai avuto, prima della degenza, alcun contatto con la stessa, che gli è stata indicata dal chirurgo, essendo quella all'interno della quale il medesimo esegue i propri interventi operatori.
Da alcuni accertamenti preventivamente effettuati ho scoperto che il medico non ha una solida posizione economica, tale da poter garantire la solvibilità del rilevante credito risarcitorio del mio cliente, né la polizza assicurativa per la responsabilità civile professionale del sanitario prevede un massimale di garanzia adeguato al danno cagionato al mio assistito.
Ritengo quindi che l'unico modo per garantire al mio cliente di veder concretamente soddisfatte le proprie ragioni risarcitorie sia quello di convenire in giudizio anche la casa di cura privata, la quale però, in via stragiudiziale, si è già dichiarata estranea all'evento, poiché – a suo dire – non avrebbe avuto alcun rapporto con il mio assistito e si sarebbe limitata a mettere a disposizione al medico la struttura e le attrezzature mediche occorrenti per l'esecuzione dell'intervento. Cosa ne pensi?
 
Caro Collega, il quesito da Te posto non ha avuto in passato risposte univoche da parte della giurisprudenza; in particolare, mentre un orientamento tendeva ad escludere la responsabilità della casa di cura privata (solidale con quella del medico), quando, come nel caso da Te illustrato, non vi fosse stato un rapporto diretto tra il paziente e la struttura sanitaria, che si occupava di scegliere il medico operante nell'interesse del paziente, un altro orientamento era favorevole al riconoscimento della responsabilità della struttura privata, in solido con il sanitario, sul presupposto che la casa di cura privata non potesse gestire un'attività economica lucrosa, pretendendo di godere dei soli vantaggi senza accolarsi i connessi rischi. A livello di teoria generale, questo secondo orientamento, che è poi prevalso, individua l'obbligazione del medico e quella della casa di cura privata come una unica obbligazione soggettivamente complessa, ad attuazione congiunta, caratterizzata dalla unitarietà del risultato finale, che è quello di prestare buone cure mediche al paziente. Come detto, questo secondo orientamento ha ricevuto, di recente, anche il suggello delle Sezioni Unite della Suprema Corte, le quali hanno stabilito che: “nei confronti del paziente è irrilevante che si tratti di una casa di cura privata o di un ospedale pubblico in quanto sostanzialmente equivalenti sono a livello normativo gli obblighi dei due tipi di strutture verso il fruitore dei servizi” (Cass. Sez. Un. n. 577 dell'11 gennaio 2008). In definitiva, sussistendo la responsabilità solidale della casa di cura privata con il medico libero professionista, non dipendente della struttura, ritengo che sia opportuno, per una migliore tutela degli interessi del Tuo assistito, convenire in giudizio anche la clinica privata in cui è stato eseguito l'intervento operatorio.
 
Caro Avv. Micioni, sono stato officiato da una mia cliente di instaurare un giudizio nei confronti di un medico ortopedico, libero professionista, per alcune prestazioni sanitarie malamente fornite dal medesimo circa sei anni fa. Per anni la signora ha ritenuto che i disagi dalla stessa patiti fossero riconducibili ad una sua patologia congenita e solo di recente, dopo un'accurata visita presso altro autorevole specialista, ha scoperto che in realtà i disturbi lamentati sono esclusivamente riconducibili alle cure, a cui si sottopose sei anni fa. C'è ancora tempo per agire nei confronti dell'ortopedico o è intervenuta la prescrizione?
 
Caro Collega , la signora è ancora in tempo per far valere i propri diritti.
Bisogna infatti considerare che, stante la natura contrattuale del rapporto medico-paziente, il termine prescrizionale è disciplinato dalla norma generale contenuta nell'art. 2946 c.c., che fissa in dieci anni il termine di prescrizione ordinaria dei diritti.
Inoltre, va considerato che la prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui il danno si è verificato e non da quello in cui è stata posta in essere la condotta illecita, qualora l'evento non sia contestuale alla condotta.
A ciò si aggiunga che il dies a quo della prescrizione va ricollegato al momento in cui il paziente ha avuto reale e concreta percezione dell'esistenza e della gravità del danno ovvero dal momento in cui sarebbe potuto pervenire a tale percezione usando la normale diligenza; quindi decorre dalla conoscenza o conoscibilità del danno (Cass. 21 febbraio 2003 n. 2645).
Tale criterio è stato di recente ribadito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (seppur a proposito di contagio da emotrasfusioni) con le sentenze nn. 581 e 583 dell'11 gennaio 2008, le quali hanno stabilito che: “Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno di chi assume di aver contratto per contagio una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo decorre, a norma degli artt. 2935 e 2947, comma 1, cod. civ., non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione che produce il danno altrui o dal momento in cui la malattia si manifesta all'esterno, ma dal momento in cui viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando l'ordinaria oggettiva diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche”. Alla luce di tali principi, la paziente può legittimamente agire giudizialmente nei confronti del medico negligente.
 
 

  
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