Roma 7.01.2009. La sentenza in oggetto ha formulato un chiaro principio di diritto per il quale: «All’infuori dell’ipotesi espressamente e specificatamente disciplinata dagli artt. 21, 28 e 30 D.Lgs.vo 28 agosto 2000 n. 274, la mancata comparizione del querelante nel processo, nonostante la sollecitazione del giudice a comparire, non configura una rimessione tacita di querela.»
Il ragionamento svolto con il quale le SU hanno voluto dirimere il contrasto sorto fra le sezioni penali circa l’ammissibilità della remissione [processuale] tacita della querela, è ineccepibile anche se sembra dimenticare alcuni aspetti, sia pratici che interpretativi, in particolare il richiamo all’art. 29 D.Lgs.vo 28 agosto 2000 n. 274.
Il processo avanti al Giudice di Pace, infatti, è per molti versi simile al processo penale minorile, anche se le Procure della Repubblica hanno sempre suggerito ai Giudice di Pace, ed i procuratori d’udienza sempre chiesto, condanne a pene pecuniarie, piuttosto che le altre pene quali la permanenza domiciliare che, con un minimo di afflittività, avrebbero fatto meglio comprendere l’agiuridicità del comportamento.
Ne consegue che lo scopo del processo è quello di recare il minor danno possibile all’imputato, in un caso perché minore, nell’altro perché autore di reati di scarsissimo impatto sociale; in buona sostanza si cerca di rieducare il minore (tramite il perdono giudiziale o la messa alla prova) ovvero si cerca di far riappacificare la persona offesa e l’imputato; ma è su questi tentativi per far riappacificare che sorgono i maggiori problemi.
L’art. 29 D.Lgs.vo 28 agosto 2000 n. 274, infatti, porta con se le problematiche relative all’art. 34 e, soprattutto, all’art. 35.
In una predente sentenza la V Sezione aveva correttamente inquadrato quello che, nelle aule del Giudice di Pace, viene chiamato il “rinvio per la conciliazione”: «non è possibile la censura a posteriori del mancato espletamento del tentativo. Diversamente si attribuisce alla norma una funzione dilatoria, del tutto inconciliabile con il principio di economia processuale che, all'evidenza, la ispira.» (Cass. pen., sez. V 04-02-2005 (06-12-2004), n. 4002 - Pres. Lattanzi G - Rel. Rotella M – Cardone).
La V sezione in maniera illuminata aveva escluso la censurabilità di un processo nel quale non fosse stato esperito il “tentativo di conciliazione” [rectius non fosse stato concesso un rinvio a tal scopo] quando per il concreto comportamento delle parti, ovvero per l’assenza di una delle stesse, era evidente l’impossibilità della riappacificazione; per fare la pace occorre essere almeno in due.
Rimane, quindi, il problema del valore da dare all’assenza ingiustificata della persona offesa dal processo. Non essendo previsto l’obbligo, per la persona offesa di partecipare la processo, la sua mancata partecipazione non avrà alcuna conseguenza. Diversamente, e se ne scriverà appresso, quando questa assume la qualità di testimone.
Occorre, però, fare un piccolo passo indietro: prima di una sentenza sul merito, o su una questione procedurale, il Giudice di Pace può [deve?] escludere la procedibilità nei casi di particolare tenuità, ovvero dichiarare l’estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie, ovverosia procedere ex art. 34 o 35 D.Lgs.vo 28 agosto 2000 n. 274.
In concreto, vista la peculiarità dei reati trattati dal Giudice di Pace, l’occasionalità del fatto, l’esiguità del danno, il pregiudizio che la prosecuzione del processo provocherebbe all’imputato, impone al Giudice, sentite tanto l’imputato che la persona offesa, di escludere la procedibilità per la particolare tenuità.
Fra le righe si deve, per forza di cose, leggere l’obbligo della persona offesa di presenziare almeno a detta udienza; per tacere del suo obbligo di presenziare nel momento in cui viene ad essere testimone. Ed anche di questo si scriverà appresso.
Dove, invece, alla persona offesa non viene data possibilità di inibire una definizione del procedimento fuori di quella della sentenza di merito, è in relazione all’art. 35 D.Lgs.vo 28 agosto 2000 n. 274: le condotte riparatorie e l’elimi-nazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, purché effettuate prima dell’udienza.
In buona sostanza un processo per una minima ingiuria (ovviamente ritenuta tale a seguito dell’opportuno esame ex post) non potrà essere definito per particolare tenuità (art. 34 D.Lgs.vo 28 agosto 2000 n. 274) se vi è la volontà bloccante della persona offesa; tuttavia potrà essere definito ex art. 35 D.Lgs.vo 28 agosto 2000 n. 274, passando sopra l’eventuale volontà contraria della persona offesa, se l’imputato avrà offerto “nummo uno” a titolo di scuse.
Tornando alla sentenza in commento, la stessa sembrerebbe fare un bel passo indietro circa l’economia processuale che ispira il processo avanti al Giudice di Pace.
Se è vero come è vero che il Giudice di Pace deve cercare la conciliazione fra le parti, è altrettanto vero che ciò sarà impossibile tutte le volte in cui l’imputato e la persona offesa non saranno, fisicamente, presenti per tentare di conciliarsi.
Il richiamo, quindi, al tentativo di promuovere la conciliazione, peraltro previsto anche avanti al Tribunale in composizione monocratica, appare fuori luogo; come scritto non è possibile la conciliazione fra gli assenti, e non esiste alcun obbligo per i soggetti di partecipare (fisicamente) al processo, né per l’imputato né per la persona offesa.
Le cose, tuttavia, cambiano quando il medesimo soggetto persona offesa viene invitato a comparire in quanto testimone del fatto; lì scatta l’obbligo di partecipazione al processo, tuttavia l’obbligo sorge nella qualità di testimone e non di persona offesa, con la conseguenza che la mancata partecipazione potrà essere sanzionata solo ex art. 133 c.p.p., senza che da ciò divenga possibile stabilire alcunchè in ordine al perdurare della volontà punitiva.
Ciò, di contro, avrà solo l’effetto di eliminare quasi del tutto la possibilità di definizione per remissione della querela. La persona offesa che, citata come teste, non è comparsa verrà sanzionata con la somma fino ad € 516,00; una volta accompagnata coattivamente avanti al Giudice di Pace, quella stessa persona sarà disposta a rimettere la querela? E chi si prenderà la briga di suggerire che la remissione potrebbe far eliminare la sanzione economica prima comminata?
In buona sostanza questa sacrosanta sentenza ha ridotto le possibilità di definire il processo con modalità alternative ad una sentenza di merito.
E che dire dei processi in cui la persona offesa è unico teste e la stessa si è trasferita divenendo, di fatto, irreperibile?
Molto probabilmente le statistiche dei giudici di pace, a seguito di questa sentenza vedranno una riduzione di sentenze di circa un 25% con un consequenziale aumento dei processi che andranno in prescrizione (tutti quelli con persone offese straniere ed irreperibili), con un allineamento della produttività della magistratura.
Per la mia personale esperienza il ruolo comprende numerosi casi di extracomunitari che si sono querelati per il reato ingiurie; ebbene nel caso in cui la persona offesa si sia trasferita, saranno necessarie nuove indagini?
In realtà le Sezioni Unite avevano già affrontato il problema giungendo alla conclusione che, «Nei casi in cui, per circostanze o fatti imprevedibili, risulti impossibile la testimonianza dell'autore della denuncia-querela, l'art. 512 cod. proc. pen. consente la lettura, a richiesta di parte, di quest'ultima non soltanto per valutare l'esistenza della condizione di procedibilità, ma anche per utilizzarne il contenuto ai fini della prova, poiché fra gli atti "assunti" dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero rientrano anche quelli semplicemente "ricevuti" dalle predette autorità. (Fattispecie nella quale la persona offesa dal reato si era resa irreperibile dopo la presentazione della denuncia-querela).», così recita la II Sezione penale della Cassazione n. 9168/2008 che richiama le Sezioni Unite n. 34747/2003 sul punto.
A meno che, come accennato sopra, non voler vedere un obbligo della persona offesa di presenziare all’udienza, all’uopo fissata, per dare o meno il suo assenso alla definizione del processo ex art. 34 D.Lgs.vo 28 agosto 2000 n. 274.
In questo caso la volontà, di non opporsi non abbisogna di atti specifici ben potendo risultare da fatti univoci e concludenti, purché “sicuramente concludenti” in quanto l'art. 34 non richiede particolari modalità acquisitive del dato, Cass. V penale n. 16689/04.
L’art. 152 c.p. stabilisce che la remissione di querela processuale possa essere solo espressa.
L’art. 34 D.Lgs.vo 28 agosto 2000 n. 274 nulla scrive circa le modalità con cui la persona offesa e l’imputato possano opporsi alla definizione per particolare tenuità.
Per concludere mi sento di dare un consiglio ai colleghi Giudice di Pace.
Per il futuro accertata la prima assenza della persona offesa, aperto il dibattimento, dare avviso alla stessa del rinvio invitandola formalmente a comparire onde poter prestare l’assenso alla definizione ex art. 34 D.Lgs.vo 28 agosto 2000 n. 274, con l’espresso avvertimento che la mancata partecipazione potrà essere intesa come manifestazione di volontà in tal senso. In caso di nuova assenza procedere ex art. 34 D.Lgs.vo 28 agosto 2000 n. 274; ovviamente la persona offesa verrà intimata anche come teste.
Per i procedimenti che già avevano avuto il rinvio per la remissione tacita della querela, valutata la mancata comparizione della persona offesa, se questa è unico testimone, aperto il dibattimento acquisita la querela e dispostane, su istanza del P.M., l’utilizzabilità ex art. 512 c.p.p., il Giudice di Pace datane lettura, inviterà le parti alla discussione.
Ovviamente la valutazione della prova così acquisita dovrà essere ancora più rigorosa di quella della parte civile unico teste, valutando la mancata presenza della persona offesa.
(Avv. Alfredo Iorio)