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L'accesso ai documenti amministrativi ed il silenzio amministrativo Riduci

Roma, 9 ottobre 2008. 

L’accesso ai documenti amministrativi

E’ noto come la legge sul procedimento amministrativo (L. 241/90 s.m.i.) abbia disciplinato i rapporti tra cittadino ed amministrazione improntandoli ai principi generali di celerità, efficienza, partecipazione del cittadino e trasparenza.
E’ proprio in ossequio al principio di generale trasparenza (Cons. St. AP 5/97) che è consentito l’accesso ai documenti amministrativi
·                    sia nel corso del procedimento (art. 10 L. 241)
·                    sia nelle diverse ipotesi previste per legge (art. 22 ss. L. 241).
Il diritto d’accesso è, dunque, precipitato applicativo del più generale principio di trasparenza.
Addirittura per taluni il diritto d’accesso ha fondamento costituzionale:
·                    art. 97 Cost. quale diretta attuazione dei canoni di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione
·                    art. 21 Cost. quale diritto all’informazione sul c.d. versante passivo ovvero il diritto ad essere informati
·                    art. 117 co. 2 lett. m ) Cost. quale diritto inserito tra i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che spetta alla potestà legislativa esclusiva dello Stato garantire sul territorio nazionale (ovviamente gli altri enti possono garantire livelli ulteriori di tutela).
Per taluni il diritto d’accesso sarebbe un diritto soggettivo perfetto ed autonomo all’informazione (Cons. St. sez. VI 27 mag. 2003, n. 2938; Cons. St. sez. V n. 4411/2007), infatti:
·                    l’amministrazione verifica la sola situazione legittimante e la non ricorrenza di ostacoli tassativi,
·                    la giurisdizione è esclusiva del GA.
Per altri (Cons. St. sez. V 2 dic. 98 n. 1725; Cons. St. AP 16/1999) il richiedente l’accesso vanta una posizione d’interesse legittimo che deve essere bilanciato col diritto al riservatezza dei terzi:
·                    la posizione del richiedente è regolata dalla normativa di settore che ne garantisce il soddisfacimento nell’ambito del contestuale e coessenziale soddisfacimento dell’interesse pubblico: donde, il modello processuale impugnatorio (art. 103 Cost.).
Infatti, nel processo per l’accesso (art. 25 L. 241) è obbligatoria la notifica del ric. medesimo al controinteressato.
E’ riconosciuta autonomia al diritto d’accesso che, infatti, può essere fatto valere con autonomo giudizio
·                    anche laddove sarebbe possibile chiedere un provvedimento istruttorio nel medesimo giudizio già pendente nel merito (Cons. St. AP 6/99) e non è ostacolato dalla pendenza di un giudizio civile o amministrativo nel corso del quale gli stessi documenti potrebbero essere richiesti (Cons. St. IV n. 4645/2007)
·                    anche qualora sia stata già respinta l’istanza d’esibizione ex art. 210 c.p.c.
·                    anche se il documento è assoggettato a forme di pubblicità generali.
Oggi l’art. 21 L. TAR (modificato dall’art. 1 L. 205/2000) ammette la possibilità di rivolgersi per l’accesso ai documenti ritenuti rilevanti per un giudizio al medesimo GA dinanzi al quale pende il giudizio.
Il diritto d’accesso si estrinseca nell’esercizio anche congiunto (CGA n. 1087/2007) del diritto di visione + diritto di copia.
I limiti al diritto d’accesso sono fissati all’art. 24 L. 241 (modif. ex art. 16 L. 15/2005) per la tutela di taluni interesse fondamentali.
L’accesso non può essere negato quando sarebbe sufficiente il differimento dell’esercizio (art. 24 co. 4).
L’accesso deve essere consentito sempre per la tutela di interessi giuridici del richiedente (nel caso di documenti sensibili o giudiziari con l’osservanza dell’art. 60 D LGS 196/00).
Il rilascio della copia del documento è subordinato al solo pagamento delle spese di riproduzione, dei diritti di ricerca e visura e delle spese di bollo (art. 25 co. 1).
Il diritto d’accesso riguarda qualsiasi documento amministrativo (art. 22 L. 241) anche se non relativo ad un procedimento in senso stretto ed anche se non formato dall’amministrazione (CGA n. 927/2007 ammette l’accesso anche alle risposte alle interrogazioni fornite dai terminali che accedono alle banche dati dell’amministrazione che materialmente appaiono sul video).
Il diritto d’accesso vale anche nei confronti
·                    dei documenti dei privati usati per l’attività amministrativa (art. 22 co. 2);
·                    degli atti dei concessionari o gestori di pubblici servizi (art. 23), per es. nei confronti dei tesorieri delle unità sanitarie locali o delle aziende USL, delle società ad azionariato pubblico, dei consorzi agrari, dei soggetti che svolgono attività di pubblico interesse (Cons. St. sez. V n. 187/2007);
·                    degli atti amministrativi connessi all’esecuzione di sentenze;
·                    degli atti preparatori di un accertamento fiscale (ma può essere differito);
·                    degli atti di diritto privato dell’amministrazione (Cons. St. sez. VI n. 1734/1996).
L’istanza deve essere indirizzata
·                    all’autorità che ha formato i documenti amministrativi (ovvero all’amministrazione che ha posto in essere la maggior parte degli atti richiesti: Cons. St. V n. 55/2007)
e/o
·                    all’autorità che li detiene stabilmente.
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Le condizioni per l’esercizio del diritto d’accesso.
Le condizioni per l’esercizio del diritto sono soggettive ed oggettive:
deve sussistere un interesse giuridicamente rilevante del richiedente alla conoscenza o alla copia del documento
·                    perché il richiedente partecipi al procedimento (art. 10 L. 241) ovvero
·                    perché il richiedente vanti un interesse personale e concreto strumentale rispetto alla conoscenza dei documenti che
a)                  non può essere comune alla generalità dei cittadini (non è una azione popolare),
b)                  non può essere emulativo o esplorativo,
c)                  non può trattarsi del c.d. accesso informativo (TAR FI sez. I n. 5143/2007),
d)                  non può essere preordinato ad un controllo generalizzato sull’operato dell’amministrazione (TAR RM sez. I bis n. 4155/2007),
e)                  non può comportare attività valutativa o elaborativa di dati da parte dell’amministrazione (Cons. St. V n. 408/2007)
L’interesse non deve essere necessariamente qualificato o strumentale o riconducibile a una posizione di diritto soggettivo o interesse legittimo ed, infatti, può essere esercitato anche oltre i termini decadenziali per ricorrere avverso gli atti dei quali si chiede l’ostensione ed anche nei confronti di atti di altri soggetti (ove, per esempio, sia necessario per evidenziare disparità di trattamento).
La legittimazione all’accesso non può essere valutata alla stessa stregua di quella alla pretesa sostanziale sottostante; l’interesse va valutato in astratto senza apprezzamento specifico della fondatezza o ammissibilità della successiva domanda giudiziale che potrebbe fondarsi sui documenti acquisiti (Cons. St. sez. V n. 55/2007).
L’istanza d’accesso deve
·                   essere motivata
·                   specificare gli atti utili (o gli elementi per individuarli onde consentire all’amministrazione di verificare in concreto la sussistenza dell’interesse).
L’accesso ai documenti delle amministrazioni locali sembra più ampio (art. 10 c. 3 e 4 D LGS 267/00) se così è configurato nello statuto e nei regolamenti degli enti locali.
Altra ipotesi di accesso particolarmente qualificato è prevista nella medesima legge (art. 43 co. 2) in favore dei consiglieri comunali e provinciali.
Fattispecie peculiare d’accesso è quella relativa ai documenti in materia ambientale (art. 3 D LGS 39/97).
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I casi di esclusione e di differimento.
La regola generale di trasparenza impone all’amministrazione di motivare il diniego d’accesso sulla base di una previsione normativa.
Le ipotesi d’esclusione sono elencate nella legge sul procedimento (art. 24 L. 241 modif. art. 16 L. 15/2005) e nel regolamento (art. 8 DPR 352/92).
L’accesso può essere escluso a tutela della riservatezza di terzi (art. 24 co. 6 lett. d L. 241), ma è consentito ove necessario per la tutela di interessi giuridici del richiedente ed in questo caso prevale sulla riservatezza (Cons. St. AP 5/97).
L’art. 24 co. 7 L. 241 fissa le regole per l’equilibrio tra il diritto d’accesso e la tutela della privacy riferita ai dati sensibili e giudiziari (art. 60 D LGS 196/03); nel contrasto va privilegiato il diritto d’accesso e recessivo quella alla riservatezza di terzi quando l’interesse è esercitato per la difesa di un interesse giuridico nei limiti in cui sia necessario per questo fine (Cons. St. sez. V n. 4999/2007); il diritto alla privacy può essere salvaguardato con modalità alternative alla limitazione o al diniego dell’accesso che utilizzino, per es., la schermatura dei nomi.
E’ accessibile, per esempio, la documentazione sanitaria del coniuge per ottenere lo scioglimento del matrimonio (TAR LE sez. II n. 3015/2007).
Il diritto d’autore non limita l’accessibilità degli atti (Cons. St. sez. IV n. 5467/2007 ammette l’accesso del candidato di un pubblico concorso ai tests psico-attitudinali pure protetti da copyright e licenza d’uso in favore della società che li ha predisposti).
La contrattazione collettiva non può derogare in peius rispetto alla legge o ai regolamenti emessi in conformità a questa (Cons. St. VI n. 5569/2007).
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Accesso all’attività di diritto privato e dei gestori di servizi pubblici.
Ad un primo orientamento restrittivo del GA (CdS sez. IV 5 giu. 1995, n. 412) è seguita una progressiva apertura della giurisprudenza (CdS 4 dic. 1987, n. 82) che ha ritenuto accessibili anche gli atti che non sono espressione di potestà pubbliche o manifestazione di poteri autoritativi.
L’accesso, dunque, non è relativo agli atti amministrativi, ma all’attività amministrativa in genere e, dunque, anche l’attività di diritto privato funzionale alla concreta cura degli interessi della collettività.
La dottrina ha evidenziato un approccio di tipo sostanziale, un indirizzo giurisprudenza intermedio (CdS sez. IV 15 gen. 98, n. 14 esclude le attività meramente privatistiche e disancorate dall’interesse pubblico di settore) ed un indirizzo della giurisprudenza (CdS AP 4 e 5 del 99) che riconosce per tutti gli atti della PA le esigenze di trasparenza e per i gestori di pubblici servizi prevede l’esame del grado di strumentalità dell’attività rispetto all’attività di gestione del servizio (almeno quando il gestore sia un privato: CdS sez. VI sent. 5 mar. 2002, n. 1303).
La L.15/05 riscrive l’art. 22 L. 241 dando la definizione di documento amministrativo e di pubblica amministrazione.
La modalità pubblicistica o privatistica di esercizio dell’attività non rileva per l’ambito di operatività dell’accesso. Le regole di trasparenza si applicano anche ai soggetti chiamati all’espletamento di compiti di interesse pubblico.
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La tutela dei terzi
(ovvero i rapporti tra accesso e riservatezza).
I terzi sono i soggetti controinteressati titolari di un interesse alla riservatezza dei documenti (Cons. St. AP 16/99) che possono essere pregiudicati nei loro interesse strettamente personali indicati all’art. 8 DPR 352/92 (interesse epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale).
La riservatezza come mero limite alla trasparenza riguarda:
·                    le persone fisiche (art. 2 Cost)
·                    i gruppi, persone giuridiche e enti (art. 41 Cost.) per la c.d. riservatezza commerciale o industriale.
Diritto all’informazione (esigenza di trasparenza e imparzialità) ed alla privacy sono due interessi di rango primario meritevoli di costante e adeguata tutela da parte dell’ordinamento (Cons. St. sez. V n. 4999/2007).
1. Nei rapporti tra accesso e riservatezza prima della legge sulla privacy(L. 675/1996) era rimesso all’interprete in applicazione dell’art. 2 Cost., laddove anche per i dati riservati
·                    era consentito l’accesso solo nel caso di necessità per la cura di interessi giuridici
·                    era consentito col limite modale dell’esercizio nella forma “morbida” della visione ovvero col ricorso a forme di compromesso (mascheratura dei nominativi).
2. Con la legge sui dati personali è stata fissata un soglia minima di tutela per i dati personali ed una soglia massima per quelli sensibili.
Per i dati personali non sensibili (art. 27 co. 3) è prevista la diffusione nei casi fissati da legge o regolamento.
Per i dati sensibili (art. 22 co. 3) l’esercizio era subordinato alla preventiva legge che ne disciplinasse le modalità, ma CdS VI 26 gen. 99 n. 59 ha previsto la prevalenza del diritto di difesa solo nel caso una disposizione di legge consenta al soggetto pubblico l’ostensione.
3. L’accesso nel D Lgs. 135/99 è consentito anche nelle ipotesi in cui il Garante (e non solo la legge: art. 22) stabilisca le finalità di interesse pubblico.
Per i dati sensibili sulla salute o il sesso poi il trattamento è consentito solo se il diritto fatto valere o da difendere sia di rango almeno paritario (art. 16), aprendosi così la strada alla comparazione nel rango dei beni in conflitto in concreto.
4. Col D Lgs. 30 giu. 03 n. 196 codice in materia di protezione dei dati personali è prevista la distinzione per i dati personali che fissa:
·                    Per i dati comuni una soglia minima di protezione,
·                    Per i dati sensibili una soglia media di protezione con la possibilità della visione solo in presenza di apposita disposizione di legge (art. 59),
·                    Per i dati sensibilissimi (afferenti la salute o la vita sessuale) un livello di intangibilità quasi assoluto (art. 60) all’esito di una complessa operazione di bilanciamento degli interessi (dove quello tutelato con l’accesso deve rientrare tra i diritti della personalità o altri diritti o libertà fondamentali ed inviolabili).
La L. 15/05 modif. art. 24 co. 7 L. 241/90 e prevede per i dati sensibilissimi l’accesso ove necessario per curare o difendere i propri interessi:
·                    se strettamente necessario,
·                    nei limiti del citato art. 60 (ovvero previo bilanciamento degli interessi)
·                    previa valutazione comparativa delle contrapposte esigenze.
Oggi, dunque, vige tutela più ampio per accesso:
·                    scompare il limite della mera visione (anche nel successivo DPR 184/06)
·                    i casi di esclusione devono essere previsti con reg. governativo e non dalle singole amministrazioni.
Il nuovo art. 22 L. 241 fornisce la definizione dei controinteressati in riferimento alla natura in astratto del documento.
La tutela che il terzo vanta è
·                    procedimentale, poiché controinteressato ex art. 22 co. 1 lett. c L. 241 e, dunque, ex art. 7 co. 1 lett. c della stessa legge è notiziato dell’avvio del procedimento, ha diritto a conoscere la motivazione del provvedimento (prevista art. 25 co. 3 per il rifiuto, ma doverosa anche per in caso d’accoglimento dell’istanza);
·                    processuale, poiché è indispensabile la notifica del ricorso nei suoi confronti quale contraddittore necessario e per molti può avvalersi del c.d. rito abbreviato ex art. 25 L. 241 per opporsi all’ostensione; il terzo può intervenire volontariamente ad apponendum o con l’opposizione di terzo; è possibile anche un interesse volontario ad adiuvandum del terzo se vanti un interesse specifico; il terzo non può avvalersi della tutela amministrativa dell’accesso, ma può insorgere giudizialmente contro la decisione favorevoli che lo danneggia.
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La tutela amministrativa del diritto d’accesso.
In aggiunta alla tutela giurisdizionale sussiste una specifica tutela amministrativa (art. 25 co. 4 L. 241) da esperire entro 30 gg. dal diniego d’accesso o dalla richiesta inevasa dinanzi
·                    al difensore civico (per le amministrazioni locali o regionali)
·                    alla commissione per l’accesso (per le amministrazioni statali).
La decisione di riesame interviene dopo 30 gg. dalla richiesta ed è comunicata alle parti; non è possibile per il decidente assumere atti in sostituzione dell’amministrazione inadempiente.
L’accesso è consentito se l’amministrazione non assume un nuovo diniego motivato.
Se la risposta è negativa il richiedente può nei 30 gg. successivi adire la via giurisdizionale (art. 25 co. 5 L. TAR) anche contro il diniego d’accesso originario.
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La tutela giurisdizionale del diritto d’accesso.
E’ previsto un giudizio speciale per l’accesso (art. 25 co. 5 L. 241) devoluto alla giurisdizione esclusiva del GA.
E’ possibile esperire il ricorso
·                    nel caso l’istanza sia respinta (ovvero siano stati adottati atti elusivi)
·                    nel caso di silenzio oltre il termine di 30 gg. dall’istanza.
Anche il terzo che s’opponga all’accesso può avvalersi del rito speciale.
Il giudizio afferisce la legittimità della richiesta e non la fondatezza del diniego; infatti, la sent. d’accoglimento ordina l’esibizione (e non annulla il diniego).
Il termine per ricorrere è di 30 gg.
·                    dal diniego d’accesso
·                    dal silenzio-rigetto.
Il ricorso è notificato
·                    all’amministrazione
·                    al controinteressato quale contraddittore necessario (condizione d’ammissibilità del ric.).
La parte può stare in giudizio di persona (ma non in appello) ex at. 25 co. 5 bis L. 241; l’amministrazione può essere difesa da un suo dirigente.
Il ricorso è depositato nell’ordinario termine di 30 gg. dall’ultima notifica.
Il giudizio si svolge in Camera di Consiglio previa eventuale (se richiesta) audizione delle parti.
La sentenza d’accoglimento comporta l’accertamento del diritto e l’ordine consequenziale d’esibizione che è immediatamente esecutivo (art. 33 co. 1 L. TAR).
L’appello è esperibile nel termine perentorio di 30 gg. dalla notifica della sent. o nel termine ordinario annuale; il Cons. St. decide entro 30 gg. dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso.
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Il silenzio amministrativo.
Caratteri generali.
La tematica del silenzio amministrativo s’inserisce nello studio del tempo dell’azione amministrativa al quale il legislatore ha dedicato sempre maggiore attenzione, disciplinando la tempistica procedimentale con la fissazione (art. 2 L. sul procedimento) del principio della certezza temporale della conclusione del procedimento.
Negli ultimi decenni vari sono stati gli interventi sul tema (v. la riforma del reato d’omissione di atti d’ufficio art. 328 c.p. dove al co. 2 è configurato un reato di “messa in mora” con la punizione del pubblico ufficiale che omette di provvedere e non espone le ragioni del ritardo oltre il termine di 30 gg. dalla richiesta scritta dell’interessato; la legge sulle autonomie locali – già L. 142/90 oramai TU enti locali – ha introdotto meccanismi d’accelerazione per la definizione dei procedimenti, la riforma del lavoro alle dipendenza delle amministrazioni ha fissato il potere sostitutivo dei dirigenti generali a fronte dell’inerzia di dirigenti e responsabili del procedimento; l’art. 17 lett. F L. 59/97 ha previsto la misura programmatica di un indennizzo automatico e forfetario del ritardo).
Oramai l’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (2000/C 363/01) ha previsto “il diritto ad una buona amministrazione”, sancendo che “ogni individuo ha diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell’Unione”.
Il novellato art. 111 Cost. prevede il principio di portata e valenza generale di “durata ragionevole” del processo.
Al rispetto di un “termine ragionevole” fa riferimento anche l’art. 21-nonies della L. 241/90 circa l’annullamento d’ufficio del provvedimento amministrativo illegittimo (ove sussistano le ragioni di pubblico interesse, tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati).
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L’inerzia dell’amministrazione dopo la L. 80/2005.
Il legislatore con la L. 15/2005 ed il DL 35/2005 conv. nella L. 80/2005) ha riscritto gli artt. 2, 19 e 20 della legge sul procedimento (L. 241/90 s.m.i.).
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Le attività c.d. liberalizzate.
L’art. 19 L. 241/90 (art. 3 co. 1 DL 35/05 conv. in L. 80/2005) ha previsto la liberalizzazione delle attività economiche private prima sottoposte a provvedimenti autorizzativi il cui rilascio dipenda solo dall’accertamento di requisiti e presupposti di legge o di atti amministrativi generali e dove non siano previsti limiti o contingenti complessivi per il rilascio (con l’eccezione dei provvedimenti delle amministrazioni preposte alla cura di interessi qualificati: es., difesa, ambiente).
Le attività in questione sono attivabili decorsi 30 gg. dalla mera denuncia d’inizio (c.d. DIA). L’amministrazione opera un controllo successivo e
·                    se interviene nei 30 gg. dall’inizio dell’attività sarà sufficiente l’accertamento della carenza dei presupposti legittimanti l’esercizio di questa (esercizio, dunque, di potere inibitorio col divieto di prosecuzione dell’attività e l’ordine di rimuoverne gli effetti)
·                    se interviene dopo il predetto termine deve procedere mediante l’esercizio del potere d’autotutela (v. art. 21 quinquies per la revoca e art. 21 nonies per l’annullamento L. 241/90 ovvero deve considerare il perdurare d’un interesse pubblico attuale e concreto all’intervento e deve ponderare questo con l’affidamento medio tempore ingenerato nel privato) ovvero mediante il generale potere repressivo degli abusi (art. 21 co. 2 bis L. 241/90).
Per le attività liberalizzate la legittimazione del privato discende direttamente dalle legge. La verifica ex post dell’amministrazione si conclude con provvedimento (motivato) solo in caso di esito negativo ed è perciò finalizzata al controllo.
Il principio di autoresponsabilità del privato sostituisce quello d’autorità dell’amministrazione.
Nella formulazione originaria della legge sul procedimento la DIA era una ipotesi eccezionale, con la prima riscrittura dell’art. 19 della medesima legge (ad opera dell’art. 2 co. 11 L. 537/93, recante interventi correttivi di finanzia pubblica) il sistema diventa la regola (laddove, tuttavia, l’esercizio dell’attività privata si fondi sul mero accertamento dei presupposti e dei requisiti prescritti senza esercizio di discrezionalità, non preveda il preventivo esperimento di prove con valutazioni tecniche e non sia riferibile ad attività contingentate): così, la DIA restava ancora di fatto la regola per l’attività amministrativa vincolata.
La nuova formulazione dell’art. 19 L. 241/90 (art. 3 co. 1 DL 35/2001) consente l’avvio dell’attività con la mera dichiarazione corredata anche con autocertificazioni della documentazione normativamente richiesta, a condizione che il rilascio del provvedimento dipenda dal solo accertamento dei requisiti o presupposti di legge o di atti amministrativi generali e che non trattasi di attività limitata o contingentata o programmata.
Dopo 30 gg. dalla dichiarazione il privato può avviare l’attività con l’onere però di darne contestuale avviso all’amministrazione.
Per alcuni oggi la DIA può sostituire anche le autorizzazioni discrezionali (donde la previsione e l’enunciazione delle diverse ipotesi d’eccezione alla regola, la possibilità d’applicazione anche nelle ipotesi dove è prevista l’acquisizione di pareri ed il potere residuale potere di revoca), per altri le valutazioni tecniche escludono l’operatività dell’istituto (previsto per i soli accertamenti tecnici).
Per alcuni la DIA resta un atto privato (non impugnabile direttamente dal terzo che può sollecitare il potere d’autotutela o sanzionatorio e, in caso, di inerzia, agire contro il silenzio-rifiuto); per altri (tesi che prevale in giurisprudenza) si tratta di una fattispecie complessa a formazione progressiva (dichiarazione del privato + silenzio dell’amministrazione) configurabile come un atto amministrativo (tacito) immediatamente impugnabile dal terzo.
Il sindacato giurisdizionale è affidato in via esclusiva al GA (art. 19 co. 5 L. 241/90) anche per le controversie instaurate dal terzo che lamenti il mancato esercizio del potere di vigilanza, laddove viene in contestazione un comportamento amministrativo – l’inerzia nell’esercizio di un potere – collegato all’esercizio della funzione di vigilanza e del potere d’autotutela dell’amministrazione (sussistono dubbi di costituzionalità per i provvedimenti abilitativi vincolati dove prima s’affermava la giurisdizione del GO trattandosi nell’ipotesi d’inerzia dell’amministrazione di comportamento illecito incidente su un diritto).
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Le attività sottoposte ancora a vaglio preventivo dell’amministrazione.
Per siffatte attività, legislatore
·                    ha generalizzato (art. 20 L. 241/90, art. 3 co. 6-ter DL 35/05) le ipotesi di silenzio-assenso (estese a tutti i procedimenti ad istanza di parte, esclusi quelli relativi rilasciati da amministrazione preposte alla cura di interessi qualificati)
·                    ha introdotto novità di rilievo in materia di silenzio-rifiuto per i casi oramai eccezionali nei quali l’inerzia non abbia valore provvedimentale.
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Il silenzio rifiuto
Col termine silenzio si fa riferimento agli istituti preposti alla rimozione o prevenzione degli effetti negativi dell’inerzia dell’amministrazione col fine di tutelare i soggetti interessati all’emanazione di un atto amministrativo.
Il silenzio è definito rifiuto quando l’inerzia non è diversamente disciplinata da una norma positiva: trattasi, dunque, d’un rimedio d’origine giurisprudenziale a tutela del cittadino a fronte del silenzio non diversamente qualificato dell’amministrazione.
Oggi la dottrina definisce il silenzio-rifiuto quale silenzio inadempimento per evidenziare come l’inerzia sia la mera violazione dell’obbligo di provvedere (a sua volta espressione del più generale canone di correttezza ex art. 2 L. 241/90) posto a carico dell’amministrazione per la tutela del soggetto interessato all’emanazione dell’atto.
A fronte dell’inadempimento dell’obbligo di provvedere, il privato può adire il GA col giudizio contro il silenzio-rifiuto: la peculiarità è data dal fatto che all’evidenza il giudizio non riguarda un provvedimento amministrativo, ma un mero comportamento omissivo.
Il ricorso non si traduce in una azione costitutiva (d’annullamento), ma nella richiesta al GA di ordinare all’amministrazione di provvedere (azione dichiarativa e di condanna).
Il presupposto del ricorso è l’avvenuta formazione del c.d. silenzio-rifiuto che esiste solo a fronte di un dovere di provvedere (fissato ex lege) dell’amministrazione nel caso concreto e, dunque:
1.                  Nel caso di procedimenti a iniziativa di parte è necessario
·                    che l’istanza sia presentata dal soggetto legittimato
·                    che dall’istanza sia possibile individuare l’oggetto specifico del provvedimento richiesto
·                    che l’istanza sia rivolta all’amministrazione competente.
La giurisprudenza (Cons. St. AP n. 10/78) aveva ritenuto altresì necessario
·                    il decorso di 60 gg. dalla presentazione della istanza e
·                    la conseguente contestazione dell’omissione con la notifica giudiziale di una diffida con l’espressa intimazione a provvedere nel termine (spatium deliberandi) di ulteriori 30 gg. decorsi invano i quali si sarebbe finalmente formato il silenzio-rifiuto (argomentando ex art. 25 TU 3/57 sugli impiegati pubblici dello Stato, ma v. anche art. 1454 c.c.); così, per i procedimenti ad istanza di parte il termine per l’amministrazione sarebbe stato di almeno 90 gg. (60 dall’istanza + 30 assegnati con la diffida).
Il silenzio-rifiuto così formato poi doveva essere sottoposto per la giurisprudenza prevalente al sindacato del GA nel termine decadenziale di ulteriori 60 gg. (Cons. St. AP 16/89); per altri, invece, non vi sarebbe stata decadenza ed, infine, per altri ancora il termine sarebbe stato quello di prescrizione decennale del “diritto a una risposta”.
Sono state dibattute le conseguenze della legge sul procedimento sul sistema testé delineato ed, in particolare, il decorso del termine per l’ultimazione del procedimento fissato in generale ed in via sussidiaria oggi in 90 gg. (e non più in 30 gg. come nella primigenia versione della L. 241) dall’art. 2 co. 2 e 3 L. 241/90 s.m.i. ovvero nel diverso termine fissato nei regolamenti attuativi di ciascuna amministrazione fissati oramai dal Governo o dagli enti pubblici nazionali (e non più dalle medesime amministrazioni)
a)                  per taluni la disciplina della L. 241 determinava di per sé la formazione del silenzio-rifiuto oramai ontologicamente illecito senza necessità di notifica della previa diffida e
b)                 per altri, pure restando necessaria la notifica della preventiva diffida con la prospettazione all’amministrazione della possibilità d’essere convenuta in giudizio (anche per la sua funzione deflattiva del contenzioso e garantistica), questa poteva essere notificata dopo la scadenza del (minore) termine d’ultimazione del procedimento, anziché attendere il termine di 60 gg. dalla presentazione dell’istanza (in tal senso anche la circolare del Ministero della Funzione Pubblica del 8.1.1991).
Oramai è stato stabilito per legge (v. art. 2 L. 15/2005 che ha introdotto all’art. 2 della legge sul procedimento il “nuovo” co. 4 bis) che
·                    il decorso del termine per l’ultimazione del procedimento rende superflua la notifica della preventiva diffida (ora perciò solo facoltativa) al fine del formarsi del silenzio-rifiuto e
·                    il giudizio amministrativo è proponibile finché perdura l’inadempimento dell’amministrazione e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del medesimo termine d‘ultimazione del procedimento (l’istanza è comunque reiterabile) che è reso conosciuto dal privato in anticipo, in quanto adeguatamente oggetto di pubblicità (art. 4 co. 2 L. 241/90) e gli è finanche reso noto nella comunicazione d’avvio del procedimento (art. 8 lett. c-bis L. 241/90).
In definitiva, oggi il ricorso al GA avverso il silenzio-rifiuto può essere esperito subito dopo la scadenza del termine del procedimento (art. 2 co. 2 e 3 L. 241/90) con evidenti vantaggi in termini di certezza dei tempi del procedimento.
2.                  Nel caso di procedimenti a iniziativa d’ufficio è necessaria la sussistenza in fatto della situazione prevista dalla norma per l’emissione del provvedimento amministrativo; non è mai stata necessaria la previa istanza all’amministrazione, ma la giurisprudenza ha ritenuto necessaria una preventiva diffida a provvedere nel termine di 30 gg.
3.                  Nel caso di istanza di riesame di un provvedimento già adottato dall’amministrazione non sussiste di norma un dovere di provvedere dell’amministrazione (almeno in mancanza di nuovi presupposti. Cfr. Cons. St. sez. VI n. 2318/2007).
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Il ricorso avverso il silenzio-rifiuto.
Nel ricorso a causa dell’assenza di un atto amministrativo da impugnare:
·                    l’esposizione dei fatti deve dare conto della formazione del silenzio-rifiuto (altrimenti il ricorso è inammissibile) ed è opportuno evidenziare la legittimazione della parte ricorrente (es., “ancorandola” alla presentazione della istanza a provvedere nei procedimenti ad iniziativa di parte)
·                    i motivi del ricorso non possono indicare vizi di legittimità dell’atto (mancante) così
a)                  per alcuni deve essere dedotta l’illegittimità del comportamento omissivo ovvero l’inadempimento dell’amministrazione all’obbligo di provvedere (Cons. St. sez. IV n. 723/1994 e n. 594/1992); secondo questa giurisprudenza nelle conclusioni è possibile chiedere solo il mero accertamento dell’omissione dell’amministrazione e la dichiarazione dell’obbligo d’adempiere; dopo la L. 205/2000 (che ha introdotto nella L. TAR il c.d. rito sul silenzio all’art. 21 bis) la tesi in questione è stata riaffermata anche da Cons. St. AP 1/2002;
b)                 per altri deve essere evidenziato nel ricorso come l’amministrazione avrebbe dovuto provvedere (almeno per i profili c.d. vincolati dell’attività) ovvero il ricorrente deve anche evidenziare la fondatezza della pretesa (Cons. St. sez. VI n. 92/1982); secondo questa giurisprudenza nelle conclusioni è possibile anche richiedere una sent. che precisi le modalità dell’adempimento; oggi il legislatore ha disciplinato espressamente la intensità del sindacato consentito al GA (all’art. 3 co. 6-bis DL 35/2005 conv. in L. 80/2005 che ha modificato l’art. 2 co. 5 L. 241/90 sul procedimento), fissando la possibilità (e non già il dovere) per il GA di conoscere della fondatezza della istanza in senso conforme, peraltro, alla necessità d’assicurare tutela effettiva anche all’interesse legittimo (art. 24 e 113 co. 2 Cost.), al punto che taluni hanno ipotizzato una nuova ed anomala fattispecie di giurisdizione del GA estesa al merito (contra: Cons. St. sez. IV n. 5310/2007 e n. 5311/2007), laddove s’è voluta invero assicurare solo pienezza di tutela al privato sino alla verifica della fondatezza della pretesa, ma col limite (consueto) dall’impossibilità d’invadere la discrezionalità amministrativa (donde il GA potrà conoscere della fondatezza o meno dell’istanza soltanto a) nelle ipotesi di manifesta fondatezza a fronte di provvedimenti dovuti o vincolati e b) nelle ipotesi di manifesta infondatezza).
c)                  per altri, infine, secondo una posizione c.d. intermedia, il giudizio verteva sul dovere di provvedere dell’amministrazione non configurabile però a fronte di istanza manifestamente infondate (Cons. St. sez. IV n. 506/1987).
·                    le conclusioni non posso prevedere la richiesta d’annullamento dell’atto, la sentenza d’accoglimento si concreta in un ordine all’amministrazione di provvedere e/o di pronunciarsi sulla fondatezza della pimigenia istanza; su istanza di parte, il GA può da subito nominare il commissario (Cons. St. sez. V 230/2002) che intervenga in caso di ulteriore inadempimento dell’amministrazione anche all’ordine giudiziale di pronunciarsi in modo espresso e/o in senso conforme all’aspettativa del privato. Per la giurisprudenza (Cons. St. sez. V n. 1011/1995) non sono configurabile controinteressati nel giudizio contro il silenzio-rifiuto e perciò il ricorso deve essere notificato alla sola amministrazione. E’ discussa (contra: TAR RM sez. II ter n. 12568/2007) la possibilità di inserire domande risarcitorie nel ricorso (“avvantaggiandosi” così anche del rito speciale?) per il ristoro del c.d. danno da ritardo oramai configurabile a seguito dell’avvenuto riconoscimento – dopo la sentenza n. 500 del 1999 – della risarcibilità degli interessi legittimi dinanzi al GA (per alcuni anche a prescindere dal giudizio prognostico sulla fondatezza della istanza e, dunque, sulla spettanza del bene della vita: sulla non risarcibilità del danno c.d. da mero ritardo v. CdS AP n. 7 del 15 set. 2005).
In definitiva, semplificando, nel ricorso deve essere indicata:
·                    la legittimazione e l’interesse del ricorrente,
·                    la configurabilità del dovere di provvedere in capo all’amministrazione resistente
1.                  perché la legge espressamente riconosce al privato il potere di presentare una istanza così riconoscendogli la titolarità di una situazione qualificata e differenziata (l’istanza del privato è così “tipizzata” per legge) ovvero
2.                  perché il privato chiede un atto di contenuto favorevole che ampli la sua sfera giuridica e sia titolare di un interesse legittimo pretensivo
3.                  perché il privato chiede un atto con effetto sfavorevole per un terzo (repressivo, inibitorio, sanzionatorio) ed indirettamente vantaggioso (interesse strumentale),
·                    l’inosservanza del predetto dovere di provvedere,
·                    la sussistenza delle altre condizioni per la formazione del silenzio-rifiuto,
·                    le eventuali ragioni per le quali l’amministrazione avrebbe dovuto accogliere l’istanza del privato.
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Il giudizio e la decisione.
E’ previsto un rito speciale che assicuri maggiore sollecitudine nella decisione (art. 21bis L. TAR inserito dall’art. 2 L. 205/00).
Il ricorso non soggiace al termine decadenziale di 60 gg., ma può essere proposto finché perdura l’inadempimento dell’amministrazione entro un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento.
Il ricorso va depositato nel termine (consueto) di 30 gg. dall’avvenuta notifica ed è fissata d’ufficio la camera di consiglio (i difensori sono sentiti se lo richiedono) per la discussione entro 30 gg. dal deposito.
La decisione è redatta in forma succintamente motivata.
Se il collegio dispone una istruttoria la camera di consiglio per la decisione deve tenersi nei successivi 30 gg. dagli adempimenti imposti.
In caso d’accoglimento il GA ordina all’amministrazione di provvedere, assegnando un termine (ed eventualmente precisando quale provvedimento emanare specie in caso di attività c.d. vincolata); in caso di ulteriore inadempimento dell’amministrazione il GA nomina un commissario (che, ove richiesto dalla parte, può già essere designato nella sentenza) che entra in carica solo se l’amministrazione resta inadempiente ed è tenuto a verificare, prima di provvedere, anche se non sia stato emesso un provvedimento (magari tardivo): non si tratta del giudizio d’ottemperanza, ma di una ottemperanza anomala o speciale (Cons. St. VI n. 3602/2007: il commissario qui è organo dell’amministrazione e non, come di prassi, ausiliario del giudice e non è parte nell’eventuale appello).
L’appello contro la sentenza di prime cure è proposto entro 30 gg. dalla notifica della sent. ovvero entro 120 gg. dalla pubblicazione ed il giudizio è regolato così come quello di primo grado.
Circa il riparto di giurisdizione, secondo i consueti canoni, se si deduce la violazione di diritto soggettivo, occorre proporre azione d’accertamento per il riconoscimento del medesimo diritto dinanzi al GO, non vertendosi in materia di giurisdizione esclusiva.
Se nelle more del giudizio avverso il silenzio sopravviene il provvedimento espresso dell’amministrazione si determina
·                    la cessazione della materia del contendere in caso di provvedimento conforme all’istanza del privato;
·                    l’improcedibilità del ricorso nel caso opposto con conseguente onere per il privato medesimo di adire nuovamente il GA con ricorso autonomo secondo il rito previsto per questo (la giurisprudenza è orientata nel senso di impedire la proposizione di motivi aggiunti avverso il provvedimento sopravvenuto sfavorevole nel ricorso già pendente contro il silenzio col contestuale ed eventuale mutamento del rito);
·                    l’inammissibilità del ricorso per carenza dell’originario interesse a ricorrere se il provvedimento, anche se non comunicato, intervenga prima della proposizione del ricorso (Cons. St. VI n. 2237/2007).
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Il danno da ritardo: brevi cenni.
Circa la tutela risarcitoria per il danno patito per effetto del ritardo è stata riaffermata la giurisdizione del GA anche dopo le sent. della Corte Cost. 204/2004 e 191/2006 e dopo le decisioni delle SU della Cass. (n.13659 e 13660 del 13.6.2006 con le quali è stata “sgretolata” la tesi della c.d. pregiudizialità amministrativa), poiché il silenzio rappresenta una ipotesi di cattivo uso del potere a fronte dell’interesse pretensivo del privato e non mero comportamento.
Le ipotesi di danno da ritardo:
a)                  il danno è costituito dal ritardo col quale il privato consegue il bene della vita anelato;
b)                 il danno subito dal privato nelle more tra l’annullamento giurisprudenziale del provvedimento negativo e la riedizione del potere;
c)                  il danno da provvedimento negativo tardivo (danno da semplice ritardo).
La giurisprudenza amministrativa nega la risarcibilità del danno da puro ritardo non condividendo l’orientamento della dottrina volto a valorizzare la centralità dell’affidamento del privato sulla certezza dei tempi amministrativi e ritenendo, in definitiva, che il tempo non sia un bene della vita.
La mancata attivazione da parte del privato di strumenti sollecitatori per l’emanazione del provvedimento rileva al più ex art. 1227 c.c.
Ipotizzare un danno da ritardo puro che miri solo ad ottenere il ristoro del pregiudizio derivante dalla violazione dell’interesse procedimentale al rispetto dei tempi fissati dall’ordinamento comporterebbe in ogni caso l’inutilità del giudizio preventivo sul silenzio volto al conseguimento quale utilità finale del bene della vita sotteso all’istanza.
Nella Legislatura XV AC n. 2161 era stato previsto un art. 2-bis (conseguenze del ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento), dove è stata prevista la corresponsione di una somma di denaro stabilita in misura fissa ed eventualmente progressiva, tenuto conto anche della rilevanza degli interessi coinvolti nel procedimento “indipendentemente dalla spettanza del beneficio derivante dal provvedimento richiesto”.
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Il silenzio significativo: il silenzio-assenso ed il silenzio-rigetto.
Il silenzio-assenso.
Il silenzio significativo è una “cura preventiva” rispetto all’inerzia dell’amministrazione.
Col silenzio assenso (art. 20 L. 241/90) il silenzio è qualificato formalmente nel senso di rendere possibile considerarsi accolta l’istanza del privato una volta decorso il termine a disposizione dell’amministrazione per pronunciarsi; la legge, dunque, attribuisce un effetto sostanziale all’inerzia.
Col silenzio assenso non è eliminato il regime autorizzatorio al quale è sottoposta l’attività del privato (come nella DIA), ma consente al privato di raggiungere l’effetto utile anche in caso di inerzia dell’amministrazione.
Il silenzio assenso è un provvedimento di amministrazione attiva in forma tacita e perciò è impugnabile dal terzo, essendo equipollente al provvedimento.
Oramai l’istituto del silenzio-assenso ha carattere generale con eccezioni tassative e l’amministrazione può intervenire ex post solo in via d’autotutela con i limiti e le garanzie fissate all’art. 21-quinquies e 21-nonies della legge sul procedimento.
La legge ha consentito a successivi DPCM di natura non regolamentare, da adottare su proposta del Ministero competente sentito quello per la Funzione Pubblica, di individuare i procedimenti esclusi dal sistema del silenzio-assenso nel rispetto dei criteri direttivi impliciti (per e., elencazione degli interessi qualificati delle materie escluse dove entrano in gioco interessi pubblici di particolare rilievo per l’ordinamento, elencazione delle materie tecniche complesse che non consentono il ricorso all’istituto, elencazione di fattispecie a pregnante discrezionalità che sconsigliano il ricorso).
Sono esclusi dal silenzio-assenso anche i casi dove la disciplina comunitaria imponga l’adozione di provvedimenti formali (in generale, la Corte di Giustizia ha mostrato di non apprezzare l’istituto quale sistema ordinario di conclusione del procedimento).
La generalizzazione del ricorso all’istituto crea anche problemi di compatibilità col principio de buon andamento sancito dall’art. 97 Cost., laddove di fatto è elusa l’attività istruttoria fulcro del procedimento amministrativo (così anche la Corte cost. ha mostrato di non apprezzare già in passato l’estensione “a piacere” del modulo amministrativo in questione).
E’ stato evidenziato il passaggio da un dovere generale per l’amministrazione di provvedere ad un onere di farlo per le sole ipotesi in cui s’intenda impedire il formarsi dell’assetto d’interessi previsto dal privato; col formarsi del silenzio-assenso si consuma il potere di provvedere per l’amministrazione ed il provvedimento tardivo non espresso in autotutela (v. art. 20 co. 2 L. 241/90) è apparso addirittura nullo, poiché espresso in carenza di potere in concreto; per la tesi prevalente secondo la giurisprudenza del Cons. St. il provvedimento tardivo sfavorevole sarebbe solo annullabile per violazione di legge ed andrebbe impugnato perciò nel termine decadenziale.
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Il silenzio-diniego.
Costituisce l’ipotesi di silenzio significativo opposta al silenzio-assenso ovvero la legge equipara a diniego il silenzio serbato sulla domanda dei privati (es., la richiesta di permesso edilizio in sanatoria s’intende respinta nel silenzio dell’amministrazione decorsi 60 gg. dall’istanza: art. 36 DPR 380/2001 TU edilizia).
In materia d’accesso agli atti (art. 25 co. 4 L. 241/90), l’istanza del privato s’intende respinta col decorso di 30 gg. dalla richiesta.
Per alcuni il silenzio-diniego non esiste come fattispecie autonoma, ma rappresenta un esempio, in funzione acceleratoria, di silenzio-rifiuto o inadempimento, dove il privato è esonerato dall’onere della previa diffida (altri hanno equiparato l’ipotesi di provvedimento espresso di diniego al provvedimento privo di motivazione col quale sarebbe comune il tratto del mancato effettivo esercizio del potere).
La tesi del silenzio-diniego come silenzio significativo appare compatibile oggi con l’art. 2 L. 241/90 dove l’eliminazione della previa diffida per ricorrere contro il silenzio rifiuto avrebbe negato utilità alla categoria del silenzio inadempimento come ipotesi di silenzio-rifiuto. Così, art. 20 co. 4 L. 241/90 esclude che possa parlarsi di silenzio-assenso nelle ipotesi in cui la legge qualifica il silenzio come rigetto dell’istanza, confermando così l’utilità e l’autonomia dell’istituto.
Una ipotesi peculiare di silenzio-diniego è per taluni il silenzio-rigetto previsto in riferimento alla mancata decisione giustiziale sul ricorso gerarchico che consente al cittadino di adire la via giurisdizionale anche senza attendere l’epilogo della vicenda giudiziale.  Antonino Galletti

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