Cerca
sabato 21 dicembre 2024 ..:: Documenti » Responsabilità erariale. Maurizio De Paolis ::.. Registrazione  Login
Responsabilità erariale dei dirigenti pubblici Riduci
Roma, 17.12.2007. La responsabilità erariale dei dirigenti pubblici per disorganizzazione amministrativa e il concorso di colpa dei rappresentanti sindacali
1. I poteri organizzativi dei dirigenti
 I pubblici dirigenti sono titolari di una vasta gamma di poteri organizzativi e di connesse responsabilità funzionali dipendenti dal così detto rendimento amministrativo della struttura burocratica diretta, poiché la P.A., a seguito delle riforme introdotte durante gli anni Novanta, ha improntato la propria attività al perseguimento di risultati. 
L’art. 4, c. 2, Decreto Legislativo n. 165 del 2001 e specificamente, per le autonomie locali, l’art. 107, Decreto Legislativo n. 267 del 2000 attribuiscono ai dirigenti la competenza esclusiva ad adottare tutti gli atti ed i provvedimenti amministrativi inerenti alla gestione amministrativa, finanziaria e tecnica attraverso l’esercizio di un autonomo potere di spesa e di organizzazione delle risorse umane e strumentali ritenendoli responsabili in via esclusiva sia dell’attività amministrativa che della gestione e dei relativi risultati perseguiti. L’art. 5, c. 1, Decreto Legislativo n. 165 del 2001 statuisce che le pubbliche amministrazioni devono assumere ogni determinazione organizzativa utile per assicurare l’attuazione dei criteri di razionalità organizzativa e la rispondenza dell’azione amministrativa al pubblico interesse. Il comma secondo dello stesso articolo prevede che, nell’ambito delle norme legislative e regolamentari, ovvero degli atti macro-organizzativi (atti amministrativi generali), ai quali si devono aggiungere le circolari esplicative ed integrative diramate dagli uffici centrali dell’amministrazione, le determinazioni per organizzare gli uffici e le misure di gestione dei rapporti di lavoro (micro-organizzazione) devono essere adottati dagli organi dirigenziali preposti a gestire sulla base dei poteri tipici del datore di lavoro privato.
La responsabilità dirigenziale da risultato non si deve confondere con la responsabilità amministrativa patrimoniale, sebbene tra le due forme possano in concreto svilupparsi delle correlazioni, poiché il fallimento nel raggiungimento degli obiettivi può essere dovuto anche ad una carenza di organizzazione o ad una confusione amministrativa le quali possono aver determinato danni erariali su piani distinti e paralleli. Di conseguenza, il dirigente pubblico non risponde del risultato della gestione ma del modo in cui essa è stata condotta, tenuto conto dei parametri di diligenza richiesti per la particolare natura della prestazione, per cui le valutazioni di antieconomicità costituiscono degli indizi che, in concorso con altri elementi, possono determinare il riconoscimento di una responsabilità sanzionabile ma che non possono mai da soli giustificarla[1]. Pertanto, medesimi fatti che abbiano come protagonisti i dirigenti possono contribuire a generare diversi tipi di responsabilità (manageriali, amministrativo-contabili, disciplinari, penali, ecc.) senza che ciò implichi necessariamente una loro compresenza, trattandosi di situazioni confinanti tra loro ma integralmente diverse sotto il profilo giuridico.
Tornando ai poteri organizzatori dei dirigenti, l’attribuzione della carica dirigenziale al pubblico dipendente gli attribuisce l’integrale potestà di attuare le finalità pubbliche attribuite alla struttura amministrativa dall’ordinamento giuridico rispondendone totalmente per il buon andamento, per la legalità e l’imparzialità dell’azione pubblica[2]. Di conseguenza, i pubblici impiegati sono dipendenti di una persona giuridica pubblica (Ministero, Regione, autonomia locale o altro ente pubblico) e vengono amministrati dagli organi dirigenziali attraverso l’adozione di atti che, fin dalla Legge n. 421 del 1992 e dal Decreto legislativo n. 29 del 1993, hanno assunto una natura negoziale di diritto privato e non più solo amministrativa[3].
Il dirigente pubblico deve muoversi restando necessariamente all’interno di un complesso quadro di riferimento normativo: norme di legge e regolamentari; atti amministrativi generali a contenuto organizzativo; direttive e circolari; norme e principi prodotti dalla contrattazione collettiva di lavoro nazionale ed integrativa. Quindi, la violazione di una delle predette norme può comportare l’ irrogazione di sanzioni di diverso tipo, che spaziano da quelle riguardanti la responsabilità dirigenziale per mancato conseguimento degli obiettivi[4], transitando per la responsabilità disciplinare[5], per giungere alla responsabilità penale ( ad es., per il reato di abuso di ufficio[6], turbamento di un ufficio o servizio pubblico[7], omissione di atti d’ufficio) pervenendo infine alla responsabilità amministrativa e amministrativa-contabile. Sebbene, la potestà organizzativa dei dirigenti pubblici sia caratterizzata da notevoli vincoli scaturenti dalle su menzionate norme, dalle disposizioni dettate dagli organi di vertice di indirizzo politico-amministrativo e dai dirigenti generali che rappresentano la “cinghia” di trasmissione tra gli organi di vertice (ministro, sindaco, presidente della provincia e della regione) e i dirigenti di prima fascia, resta in ogni caso un’ampia autonomia decisionale in merito ai numerosi aspetti della vita operativa quotidiana del proprio ufficio, potendone fissare le regole organizzative e dirigendone lo svolgimento mediante l’adozione di tutte le opportune determinazioni nel rispetto della vigente legislazione.
2. La responsabilità per disorganizzazione o per cattiva organizzazione degli uffici
 La corretta organizzazione della struttura amministrativa rappresenta un parametro essenziale che informa l’intera attività amministrativa. Infatti, le decisioni prese dal dirigente per organizzare nel modo migliore possibile l’ufficio di cui risulti titolare per perseguire i fini pubblici sono connotate dal carattere tecnico–discrezionale poiché non coinvolgono questioni attinenti alla ponderazione degli interessi pubblici con quelli privati per dirimere eventuali conflitti, bensì si caratterizzano per questioni tecniche riguardanti la scelta di una pluralità di opzioni valide per disegnare un quadro dell’ufficio realmente efficiente ed efficace.
Una cattiva organizzazione, oltre ad esporre alla responsabilità disciplinare, con la conseguente irrogazione di sanzioni proporzionate alla gravità delle “colpe” o a quella dirigenziale per deficienze gestorie, con una delle sanzioni contemplate dall’art. 21, Decreto Legislativo n. 165 del 2001, può produrre ipotesi di danno erariale, delle quali può essere chiamato a rispondere il dirigente, eventualmente in concorso con altri dipendenti. Una siffatta forma di responsabilità amministrativa scaturisce direttamente dal mancato rispetto degli obblighi di una corretta gestione amministrativa, che rientrano tra le peculiari attribuzioni dei dirigenti. Così, a seguito di una scelta organizzativa totalmente illogica adottata con dolo o colpa grave, si possono produrre, sulla base di un ordinario nesso eziologico, ammanchi[8] o dispersioni di denaro pubblico[9].
La responsabilità per disorganizzazione o per cattiva organizzazione degli uffici sussiste quando il dirigente avrebbe potuto compiere una diversa scelta tecnica realizzabile in concreto, avendo a disposizione tutte le idonee risorse umane e strumentali. Tale circostanza ricorre, ad esempio, quando il danno erariale discenda dal comportamento commissivo o omissivo di un dipendente cui sia stata attribuita dal dirigente una posizione organizzativa con modalità palesemente arbitrarie poiché privo di idonei requisiti professionali pur essendo utilizzabile personale oggettivamente più qualificato per il possesso di un diploma di laurea, di titoli specialisti post laurea e di una maggiore anzianità di servizio[10]. Al dirigente si può rimproverare di non aver utilizzato sufficiente diligenza per fare tutto ciò che avrebbe evitato di procurare un danno all’amministrazione ovvero di non aver individuato il funzionario più idoneo a ricoprire una certa posizione all’interno della struttura amministrativa da lui diretta o ad assolvere determinate funzioni o mansioni[11]. Del resto, ciò rappresenta una regola di condotta espressione diretta del principio generale dell’ordinamento, che impone di compiere tutto quello che consente di non ledere l’altrui diritto (neminem laedere)[12].
I poteri di gestione del dirigente sono a tal punto ampi da rendere facilmente sostenibile davanti alla Corte dei Conti l’accusa di responsabilità per danno erariale per erronee opzioni organizzative qualora, a causa di inadempimenti, siano violati doveri inerenti ad una gestione efficace ed efficiente degli apparati burocratici rientrante nelle prerogative dirigenziali[13].
L’innovazione più significativa e in gran parte riuscita nei comparti del pubblico impiego contrattualizzato si identifica nella trasformazione della tradizionale figura del dirigente in manager sufficientemente retribuito, dotato (almeno in teoria) di requisiti e di capacità professionali di notevole livello che dovrebbero consentirgli di realizzare la migliore organizzazione possibile della struttura amministrativa di cui risulti titolare, attraverso l’esercizio di autonomi poteri di gestione delle risorse umane, finanziarie e dei mezzi di cui disponga. Qualora il dirigente ometta, per qualsiasi motivo, di realizzare la migliore organizzazione possibile del proprio ufficio potrà risponderne, se siano stati prodotti danni, innanzi alla Corte dei Conti[14]. Infatti, in tali casi, non è sostenibile che il dirigente vada esente da responsabilità, poiché è stato proprio l’atto gestionale irrazionale la causa primaria che ha cagionato il danno, traducendosi il comportamento del funzionario “incapace” o, quanto meno, oggettivamente non qualificato, lo strumento materiale per realizzare la lesione. La precedente argomentazione è valida solo se il dirigente abbia concretamente la possibilità di scegliere, avendo a disposizione un congruo numero di unità di personale qualificate professionalmente; infatti, nell’effettuare la propria opzione organizzativa, solo in tale contesto, gli si potrà attribuire la responsabilità di non essersi attenuto alle ordinarie norme di organizzazione aziendale valutabili tecnicamente e scientificamente sotto il profilo dell’organizzazione delle strutture amministrative.
Uno dei compiti fondamentali di un moderno dirigente pubblico è proprio quello di saper utilizzare e valorizzare al meglio le unità di personale che siano a sua disposizione all’interno del proprio ufficio[15], in modo da collocare l’uomo giusto o la donna giusta al posto giusto, secondo quel modello teorico che propugna la nascita di una burocrazia nazionale e locale professionalmente competente per portare il nostro paese agli stessi livelli di altri stati aderenti all’Unione Europea. Del resto, anche la Corte dei Conti ha frequentemente affermato nelle proprie sentenze l’obbligo di vigilanza del dirigente che si accentua qualora siano utilizzati, per ragioni non imposte da situazioni di emergenza, dipendenti per lo svolgimento di mansioni o funzioni non coerenti con la propria preparazione professionale[16]. Pertanto, sussiste l’onere a carico dei dirigenti di avvalersi dei dipendenti più capaci e preparati, piuttosto che di quelli meno qualificati sotto il profilo professionale, poiché nell’ipotesi di adozione di atti, provvedimenti o di comportamenti che procurino un danno erariale diretto o indiretto, potrà sempre essere chiamato come corresponsabile a rispondere del risarcimento.
La responsabilità del dirigente per cattiva gestione degli uffici è una responsabilità personale, non eludibile attraverso forme negoziali di assunzione degli esiti negativi della responsabilità che, a seguito di una condanna dei giudici contabili, determinano la traslazione del danno in capo ad una società assicuratrice qualora la polizza assicurativa sia stata sottoscritta dalla stessa amministrazione a cui appartengono i funzionari o gli amministratori pubblici[17]. In siffatte ipotesi il contratto assicurativo è stato ritenuto nullo dalla giurisprudenza del giudice contabile in quanto caratterizzato da una causa negoziale illecita avente lo scopo di elidere una responsabilità pubblica, quella amministrativa – contabile[18].
 3. Le responsabilità del dirigente e del responsabile del procedimento
 
La figura giuridica del responsabile del procedimento è stata introdotta nel nostro ordinamento giuridico dall’art. 5, L. 7 agosto 1990, n. 241 con la finalità recondita di portare allo scoperto l’esercizio delle potestà esercitate dalla P.A.. Inoltre, la designazione da parte del dirigente di un funzionario responsabile dell’attività istruttoria per ogni singolo procedimento consente di perseguire più facilmente l’obiettivo della trasparenza nell’azione amministrativa[19] e di individuare un preciso interlocutore che metta in condizione il cittadino–utente di prendere effettivamente parte all’iter procedimentale .
Le complesse attività di competenza del responsabile del procedimento sono enunciate dall’art. 6, L. n. 241 del 1990 e riguardano essenzialmente gli adempimenti istruttori degli affari o delle pratiche trattati di volta in volta. La L. n. 15 del 2005, novellando il citato articolo 6 ha statuito che il dirigente, assumendo una certa decisione all’esito del relativo procedimento, può discostarsi dalle risultanze emerse nell’istruttoria e dalla proposta di provvedimento avanzata dal responsabile soltanto previa adeguata motivazione. In tal modo, nella fase istruttoria, il ruolo chiave del responsabile del procedimento si rafforza ulteriormente per cui questo funzionario resta l’unico responsabile della propria attività infraprocedimentale.
E’ evidente che i compiti del dirigente restano propedeutici allo svolgimento della corretta ed esaustiva attività istruttoria, dovendosi preoccupare di organizzare al meglio l’ambiente di lavoro in cui viene ad agire il responsabile del procedimento, (oltre gli altri dipendenti), fornendogli quanto risulti necessario per espletare in maniera corretta le mansioni e le funzioni affidate e vigilando sull’andamento delle attività istruttorie, intervenendo, se necessario, con opportune sostituzioni qualora siano stati riscontrati oggettivi ritardi e/o omissioni.
Da quanto esposto in precedenza, risulta confermato il ruolo di manager che l’ordinamento attribuisce al dirigente nell’organizzazione amministrativa, per cui è possibile riscontrare una responsabilità per disorganizzazione o cattiva organizzazione, qualora, pur disponendo di adeguate risorse umane e strumentali, assuma decisioni dolosamente o colposamente erronee, magari discostandosi da vincolanti piani, programmi e direttive provenienti da organi di vertice dell’amministrazione ovvero dalle direttive e circolari del Dipartimento della Funzione pubblica. Pertanto, la ripartizione dei compiti tra il dirigente ed il responsabile del procedimento, voluta dal legislatore nazionale, finisce per confermare la netta separazione dei ruoli svolti dai due funzionari: prevalentemente organizzativo, quello del primo; prevalentemente istruttorio, quello del secondo, in funzione dell’emanazione del provvedimento finale.
L’attività organizzatoria del dirigente precede ed è propedeutica allo svolgimento dell’attività istruttoria del responsabile del procedimento. Mancando o essendo carente la prima, ovvero l’organizzazione, non può che risultare assente o carente anche la seconda, cioè l’istruttoria. Tuttavia, questo discorso meglio si attaglia ai piccoli uffici, mentre, per le strutture amministrative di grandi dimensioni, al dirigente non è possibile imputare la responsabilità per mancanza di vigilanza, qualora le sfere di attribuzione dei vari dipendenti ed aree di attività siano state ben specificate, salvo che davanti alla Corte dei Conti si dimostrino carenze o deficienze tali nell’organizzazione dell’ufficio, come ad esempio, assenza di direttive di servizio o l’assenza della predisposizione dei necessari controlli preventivi o successivi.
Il dirigente, che ometta di realizzare un’efficace ed efficiente organizzazione, vigilando sull’attività e sulle prestazioni professionali dei propri collaboratori, e in particolare del responsabile del procedimento, finisce per divenire il diretto responsabile della inefficiente attività dell’ufficio, con conseguente diretta imputabilità dei danni erariali diretti ed indiretti eventualmente causati alla P.A.[20].
4. Il sindacato del giudice amministrativo – contabile sulle scelte gestionali del dirigente
Le scelte organizzative dei dirigenti pubblici discendono da una serie di valutazioni tecnico–discrezionali e perseguono la finalità pubblica di dare un’ottimale organizzazione alla struttura amministrativa per renderla efficiente. Di conseguenza, nel settore dell’organizzazione non sussistono una ponderazione ed un contemperamento di interessi pubblici, primari e secondari, con gli interessi privati eventualmente configgenti con i primi, né risulta esserci un apprezzamento di merito circa l’opportunità delle scelte operate. Ciò è confermato dall’art. 1, L. n. 241 del 1990 e dagli artt. 1 e 2, Decreto Legislativo n. 165 del 2001, che ascrivono alla sfera della legittimità i parametri della economicità, della efficacia e della efficienza a cui deve essere sempre essere improntata l’azione amministrativa[21].
La decisione tecnica della P.A. è assoggettabile a sindacato del giudice, non soltanto per palese illogicità e irragionevolezza, ma anche intrinsecamente per scarsa attendibilità e congruenza dell’opzione prescelta rispetto allo scopo da perseguire[22]. A tal proposito, la L. n. 19 del 1994 ha previsto, all’art. 2, c. 4, un apposito strumento istruttorio, la consulenza tecnica d’ufficio[23], essenziale per verificare la correttezza delle valutazioni tecniche; di conseguenza, non è dato ravvisare l’esistenza di ostacoli di natura processuale all’integrale accertamento dei fatti tecnici nella dinamica del giudizio di responsabilità celebrato davanti alla Corte dei Conti.
La giurisprudenza dei giudici amministrativi e di quelli contabili ha progressivamente spostato la propria osservazione verso la piena conoscenza e verifica dei fatti tecnici per valutare in maniera corretta ed attendibile l’operato della P. A.. Questo importante risultato nel sindacato della discrezionalità tecnica è stato raggiunto a partire dalla decisione del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, 9 aprile 1999, n. 601 e poi conseguito anche nelle sentenze dei giudici contabili; infatti, la Corte dei Conti, ha ritenuto che il sindacato sulla discrezionalità tecnica non solo sia consentito, ma addirittura doveroso, in quanto si tratta di porre in essere mere valutazioni tecniche senza intaccare il merito dell’azione amministrativa[24].
Sia la Corte dei Conti [25] che la Corte Suprema di Cassazione[26] concordano nel ritenere che possa venire esercitato il sindacato del giudice sulla compatibilità delle scelte amministrative con i fini pubblici dell’ente pubblico. Quindi, proprio talune pronunzie del giudice amministrativo–contabile, nella materia della responsabilità, sembrano indicare una cognizione estesa alle condotte che, se anche non propriamente contra legem, risultino ugualmente non convenienti o irrazionali alla luce di parametri di riferimento desumibili dalla comune esperienza amministrativa.
Le scelte discrezionali, in materia di organizzazione amministrativa e di gestione dei rapporti di lavoro, possono venire sindacate dalla Corte dei Conti: al centro della valutazione del giudice vi è l’attendibilità e la conformità della determinazione dirigenziale alle regole della scienza organizzativa restando integro il limite dell’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali[27].
5. Tipologie di danno erariale da disorganizzazione amministrativa
La disorganizzazione dei pubblici uffici può far nascere diverse forme di danno erariale diretto e indiretto riconducibili essenzialmente a due tipi principali:
- il danno erariale da lavoro generato dai pubblici funzionari e dipendenti nell’esercizio quotidiano dell’attività lavorativa ricollegabile in qualche modo alla errata organizzazione disegnata dal dirigente titolare dell’ufficio. Vi rientrano i danni materiali causati dagli impiegati durante l’espletamento delle proprie mansioni o funzioni rientranti nella carente organizzazione delle strutture burocratiche e alla cattiva gestione delle risorse umane. La responsabilità del dirigente si individua nel non aver adempiuto ai propri doveri d’ufficio con dolo o colpa grave impedendo ai funzionari di svolgere le proprie attività in maniera proficua e con serenità, non mettendo a loro disposizione tutti gli strumenti anche se presenti nell’ufficio. Spesso, la causa primaria di tali comportamenti dei dirigenti si deve ricercare in intenti vessatori che spaziano dalla discriminazione sindacale alla condotta da mobbing, ovvero discendono dalla semplice trascuratezza, negligenza o ignavia organizzativa, da uno scarso aggiornamento professionale ovvero da una inadeguata perizia e capacità professionale. In certi casi l’esercizio distorto della discrezionalità tecnica nella gestione degli uffici, che rasenta il reato di abuso di ufficio, è posto in essere per favorire una parte del personale in servizio, come nell’ipotesi di simpatie sindacali o politiche. Comunque, il dirigente deve ritenersi privo di responsabilità qualora il danno all’erario pubblico sia prodotto da attività lavorative imputabili per dolo o colpa grave ai soli dipendenti.
- il danno erariale da disservizio, discendente più direttamente dalla disorganizzazione delle strutture amministrative, causato agli utenti privati del servizio erogato dal pubblico ufficio, senza che sia ravvisabile immediatamente un diretto responsabile. In questa categoria di danni erariali rientrano i casi di organizzazione caotica degli uffici[28], che si riflettono direttamente o indirettamente nella sfera giuridica dei privati cittadini, persone fisiche o giuridiche, cioè degli utenti dei servizi pubblici o comunque dei fruitori delle pubbliche funzioni. La spiegazione del fenomeno negativo si deve ricercare necessariamente in una distorta visione delle funzioni dirigenziali che si traduce sistematicamente nella realizzazione di omissioni o nell’assunzione di erronee azioni organizzative.
Le motivazioni di tali disfunzioni si devono principalmente ricercare: a) nella semplice incapacità professionale a livello manageriale, di agire in un contesto operativo caratterizzato da una continua innovazione ovvero da un constante e sempre più serrato confronto con l’utenza privata; b) la trascuratezza nel valutare nella giusta dimensione i reclami e i bisogni degli utenti; c) la volontà più o meno nascosta di perseguire interessi privati particolari; d) il favoritismo clientelare nei confronti di taluni dipendenti incapaci ai quali vengono attribuiti ruoli chiave nelle strutture amministrative.
In entrambe le tipologie di danno erariale, la ratio del danno stesso si deve ricercare nella cattiva organizzazione amministrativa e non certo nei singoli comportamenti ob torto collo posti in essere dai dipendenti che lavorano come possano e nelle condizioni in cui sono costretti ad operare; pertanto, il soggetto responsabile resta il dirigente che detiene il potere di organizzare l’ufficio di cui risulti titolare. I danni discendenti dal disservizio oltre a identificarsi talvolta con il mancato introito di somme di denaro o con il procurato spreco, possono generare una ulteriore figura di danno che si identifica con il danno all’immagine dell’amministrazione, valutabile dalla Corte dei Conti in via equitativa tenendo in considerazione le spese necessarie per ripristinare le condizioni di fiducia nei confronti dei cittadini[29].
6. Il concorso di colpa tra dirigenti e rappresentati sindacali nella responsabilità erariale
La disciplina del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato riconosce alle associazioni sindacali maggiormente rappresentative un notevole rilievo nella organizzazione degli uffici e anche nella gestione dei rapporti di lavoro.
Infatti, l’art. 9, Decreto Legislativo n. 165 del 2001 prevede in maniera esplicita che i contratti nazionali di lavoro disciplinino i rapporti sindacali e gli istituti della così detta partecipazione anche con riferimento agli atti interni di organizzazione aventi riflessi sul rapporto di lavoro. Una tale ingerenza sindacale si configura impropria ed inopportuna, in quanto finisce per ledere il libero esercizio del potere di organizzazione proprio dei dirigenti[30]. Al momento, la presenza dei sindacati nella sfera della macro-organizzazione e anche della micro-organizzazione finisce per condizionare talvolta in maniera pesante l’efficienza della P.A..
Proprio sulla base del citato art. 9, Decreto Legislativo n. 165 del 2001, i singoli contratti nazionali di lavoro contemplano diverse modalità di raccordo dei sindacati con l’esercizio dei poteri del dirigente, variamente denominati: informazione, consultazione, concertazione e contrattazione. Così, la comunicazione–consultazione con le organizzazioni sindacali consiste nell’informarle delle decisioni assunte in via unilaterale dall’amministrazione e coesiste con la negoziazione- accordo con le citate organizzazioni avente come oggetto le decisioni bilateralmente assunte, anche se solo formalmente, poiché compete al dirigente adottare gli atti, sostanzialmente condivisi in quanto non possono discostarsi dall’accordo in precedenza raggiunto in sede sindacale. Di conseguenza, quando le decisioni dirigenziali siano imputabili ad atti che discendano dall’unione della volontà del dirigente operante per conto dell’amministrazione–datore di lavoro con quella dei sindacati, potrà nascere una responsabilità per danno erariale a carico dei rappresentanti sindacali che frequentemente risultano essere anche dipendenti della stessa struttura amministrativa.
Del resto, la stessa giurisprudenza dei giudici amministrativi – contabili e della Corte Suprema di Cassazione ha sviluppato una nuova concezione della responsabilità amministrativa che si è discosta progressivamente da quella tradizionale, connessa alla preventiva verifica dell’esistenza di un rapporto di servizio in prevalenza concepito come un rapporto di lavoro di pubblico impiego. Più in dettaglio, la responsabilità è stata inizialmente riconosciuta verso i funzionari onorari[31], poi successivamente estesa agli organi politici[32], collocati sullo stesso piano dei funzionari onorari e, infine, estesa anche ai soggetti privati, in quanto formalmente inseriti, o anche solo abusivamente inseriti, all’interno dei procedimenti che siano esplicazione di funzioni pubbliche o di pubblici servizi[33].
Nella sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 1 marzo 2006, n. 4511, si è finalmente sanzionata l’avvenuta trasformazione del modo di essere della responsabilità amministrativa, il cui asse portante sembra essersi spostato dalla natura pubblica del soggetto e dal rapporto di servizio strictu sensu alla natura pubblica del denaro o delle finalità perseguite attraverso un procedimento amministrativo a cui partecipi un soggetto privato, persona fisica o giuridica. Infatti, se è vero che quest’ultimo rappresenta il soggetto passivo di un certo provvedimento amministrativo adottato nella fase di decisone dell’iter procedimentale (ad es. l’atto di concessione di finanziamenti pubblici), è parimenti vero che, al contempo, risulta essere anche il soggetto attivo di un determinato progetto pubblico (ad es. l’utilizzazione dei predetti fondi) che trova il proprio alveo naturale dentro una globale dinamica amministrativa la quale mira a realizzare l’esercizio di funzioni o di servizi pubblici, perseguendo obiettivi di benessere collettivo.
Alla luce delle precedenti argomentazioni non appare del tutto campata in aria la tesi per cui un soggetto privato, come il rappresentante di associazioni sindacali nella propria veste istituzionale, partecipando alla decisione dirigenziale inerente all’organizzazione o alla gestione del personale, possa incorrere nella responsabilità amministrativa, in proprio o eventualmente in concorso con il dirigente, qualora siano stati conclusi accordi o atti contra legem, dai quali discendano direttamente danni erariali. Un’ipotesi di questo genere ricorre quando si verifichi una distribuzione a pioggia di incentivi per la così detta produttività individuale o collettiva dei dipendenti pubblici, concordata preventivamente con le associazioni sindacali[34]. La stessa giurisprudenza, non escludendo la responsabilità per danno erariale del dirigente, ha contestualmente riconosciuto la potenziale responsabilità dei sindacalisti che abbiano esercitato “forti pressioni” per il mantenimento di privilegi ingiustificati all’interno dell’amministrazione[35]; comunque, al momento non è dato rivenire, sia pure dopo un’attenta ricerca, una esaustiva ricostruzione giurisprudenziale e dottrinale sulla responsabilità erariale per indebita ingerenza sindacale sui pubblici poteri.
Del resto, il pubblico impiego privatizzato, ma meglio sarebbe dire contrattualizzato, offre uno spazio particolarmente esteso all’operato dei sindacati proprio nell’ambito delle opzioni organizzative di macro- organizzazione e di micro- organizzazione, per non parlare poi della contrattazione collettiva di lavoro, nazionale a livello di comparto ed integrativa a livello di singola amministrazione, per cui sarebbe veramente arduo non ravvisare alcun profilo di responsabilità nei confronti dei soggetti firmatari dei contratti collettivi, che in violazione di norme di legge determinino danni al pubblico erario[36].
Le relazioni sindacali non possono essere assimilate ad una sorta di zona franca, dove tutto può avvenire, senza il rispetto delle regole giuridiche e, peggio ancora, senza regole giuridiche. La partecipazione di una pluralità di soggetti portatori di interessi interni alla contrattazione collettiva o a diversi momenti delle relazioni intercorrenti tra P.A. e sindacati, risultano qualificati, sebbene certe volte contrapposti, necessitando di una forte responsabilizzazione rispetto ai comportamenti tenuti e alle decisioni prese. Infatti, si agisce dentro strutture pubbliche con il coinvolgimento di interessi pubblici o di situazioni che in qualche modo incidono sugli interessi della collettività. Di conseguenza, i due attori che recitano su questo particolare palcoscenico, l’amministrazione nella persona dei dirigenti e le associazioni sindacali nella persona dei propri rappresentanti, si devono assumere le responsabilità di ciò che fanno, quindi devono poter essere chiamati a rispondere davanti alla Corte dei Conti, se del caso, anche di eventuali danni erariali consequenziali alle misure adottate di volta in volta in attuazione di ciò che è stato concordato preventivamente nelle sedi ove si è sviluppata la trattativa sindacale.
In conclusione, i dirigenti pubblici e i rappresentanti dei sindacati di categoria possono essere perseguiti dai giudici amministrativi–contabili qualora assumano condotte, commissive o omissive, estranee ai comportamenti istituzionali, caratterizzate dalla violazione di norme di legge ed antitetiche alle regole della libertà sindacale, finendo per assumere la consistenza di un favoritismo per gli iscritti ad una determinata associazione sindacale in danno degli altri lavoratori pubblici in servizio presso un determinato ufficio, contribuendo a creare una confusione sistematica nell’organizzazione della struttura amministrativa e notevoli disservizi agli utenti.
L’attività sindacale all’interno della P.A. deve ritenersi vincolata ai principi di legalità, imparzialità e buon andamento non meno che gli stessi burocrati. L’azione delle organizzazioni sindacali non può costituire una variabile indipendente dall’osservanza di quei principi di legittimità dell’operato amministrativo che connotano il nostro ordinamento giuridico.
Maurizio DE PAOLIS, Direttore del Servizio Massimario e Ruolo Generale del Consiglio di Stato.


* Scritto pubblicato nel libro di Maurizio DE PAOLIS LE RESPONSABILITA’ DEI DIPENDENTI E DEGLI AMMINISTRATORI PUBBLICI,Maggioli Editore, 2007.
[1] PINOTTI C., Profili di rilevanza delle regole tecniche nel giudizio di responsabilità amministrativa, in Consiglio di Stato, 1995, II, 564 e segg.
[2] Artt. 28 e 97 Cost.; Art. 4, c. 2. Decreto Legislativo n. 165 del 2001.
[3] Il Consiglio di Stato ha continuato a ritenere esperibile il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avverso gli atti di gestione dei rapporti di lavoro di pubblico impiego che, seppure negoziali, quantomeno per i pubblici dipendenti contrattualizzati, continuerebbero a rivestire una natura amministrativa pur latamente intesa (Cons. Stato, Adunanza Generale, parere 10 giugno 1999, n. 9, confermato dal Cons. Stato, Sez. I, parere 7 luglio 2004, n. 2798).
[4] BARBIERI E.M., Responsabilità dirigenziale, responsabilità disciplinare e parere del comitato dei garanti nei rapporti di pubblico impiego contrattualizzati, in Massimario di giurisprudenza del lavoro, 2007, 6, 481;IEVA L.,Il fattore umano quale causa della inefficienza nella pubblica amministrazione, in Il diritto dell’economia, 2006, 4, 471; SGRO’ A., Responsabilità degli amministratori e dei dipendenti degli enti locali, in Nuova rassegna (legislazione, dottrina e giurisprudenza), 2006, 7, 85; CARINCI F. e MAINARDI S., La dirigenza nelle pubbliche amministrazioni, Milano, 2005, 248 e segg.; NICOLETTI F., La responsabilità dirigenziale ex art. 21 del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165: fattispecie ed oggetto, in Diritto dell’economia, 3, 2001, 705; TORCHIA L., La responsabilità dirigenziale, Padova, 2000.
[5] NIVIELLO G. e TENORE V., La responsabilità e il procedimento disciplinare nel pubblico impiego privatizzato, Milano 2002; MONTEDORO G., La responsabilità disciplinare dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, in Diritto e formazione, 11, 2002, 1597 e segg.
[6] E’ possibile teoricamente configurare il reato di abuso d’ufficio qualora il dirigente di una struttura amministrativa abbia adottato con dolo una misura organizzativa totalmente illogica violando norme di legge o regolamentari ( secondo taluni anche disposizioni contenute nei contratti collettivi di lavoro), procurando un danno ingiusto all’amministrazione e un vantaggio patrimoniale parimenti ingiusto a se stesso o ad altri soggetti. ROMANO M., I delitti contro la Pubblica Amministrazione. I delitti dei pubblici ufficiali, Milano, 2006, II ed., 255.
[7] La giurisprudenza penale ritiene che possa sussistere il reato di turbamento del pubblico ufficio o servizio qualora si verifichi un’alterazione, anche se solo temporanea, del regolare funzionamento di un ufficio considerato nella sua complessità; si tratta di un reato comune, non specifico dello status giuridico di pubblico ufficiale, che quindi, secondo una giurisprudenza consolidata, può essere commesso anche da un soggetto che rivesta la menzionata qualifica (Cass. penale, Sez. VI, 21 agosto 2006, n. 29351; Cass. penale, Sez. V, 16 febbraio 2005, n. 15636; pertanto, la disorganizzazione dell’ufficio generata da una reiterata trascuratezza del dirigente potrebbe integrare gli estremi del reato in questione, ma soltanto e esclusivamente nei casi più gravi. Infatti, il reato previsto dall’art. 340 C.P. (interruzione di un ufficio o di un servizio pubblico o di pubblica necessità) tutela non solo l’effettivo funzionamento di un ufficio ovvero di un servizio pubblico o di pubblica utilità, ma anche l’ordinato e regolare svolgimento di esso, per cui ai fini della sussistenza dell’elemento oggettivo non è rilevante che l’interruzione sia stata temporanea o che si sia trattato di un mero turbamento nel regolare svolgimento dell’ufficio o del servizio ( Cass. penale, Sez. VI, 14 giugno 2005, n. 22422).
[8] Corte Conti, Sez. II app., 17 gennaio 1991, n. 52: è stato riconosciuto il danno erariale a carico di un funzionario, per la disorganizzazione che caratterizzava il servizio di pagamento delle pensioni all’interno di un ufficio postale presso il quale svolgeva le funzioni di direttore reggente.
[9] Corte Conti, Sez. III app., 23 maggio 2003, n. 112: nella specie, il danno erariale rappresentato dalla realizzazione coattiva di crediti vantati da una Azienda Sanitaria Locale rimasta inadempiente per la notevole disorganizzazione non è stato addebitato al coordinatore amministrativo che, aveva ripetutamente sollecitato il comitato di gestione ad adottare le misure necessarie per rimediare alla grave situazione.
[10] Così, c’è un’evidente presunzione, salva prova contraria, che il dipendente di una pubblica amministrazione, in possesso di titoli di studio e professionali, con una maggiore anzianità di servizio, abbia una professionalità ed una esperienza maggiore rispetto ad un collega pari grado, ma privo di titoli di studio e professionali o anche solo meno anziano nella qualifica.
[11] Corte Conti, Sez. Regione Sicilia, 19 agosto 1997, n. 216; Corte Conti, Sez. Regione Toscana, 29 aprile 1997, n. 313.
[12] IEVA L., La responsabilità erariale del dirigente per disorganizzazione amministrativa, in Corte Conti, 2006, 3, IV, 346; STADERINI F. e SILVERI A., La responsabilità nella pubblica amministrazione, Padova, 1998, seconda edizione, 130.
[13] Artt. 4, c. 2 e 5, 16 e 17, Decreto Legislativo n. 165 del 2001 e successive modifiche ed integrazioni. Si veda anche la Direttiva della presidenza del Consiglio dei Ministri – Funzione Pubblica 24 marzo 2004, Misure finalizzate al miglioramento del benessere organizzativo nelle pubbliche amministrazioni, in Gazzetta Ufficiale 5 aprile 2004, n. 80.
[14] Corte Conti, Sez. II app., 14 gennaio 1997, n. 2.
[15] TESTA M. R., Controlli interni: attori, strumenti, contesti, in Corte Conti, 4, 2003, 287 e segg., in particolare la pagina 293, ove si pone in evidenza come il procedimento di innovazione degli apparti della P.A. deve tendere a “scoprire i propri talenti”, ovvero deve essere “valorizzato il capitale umano prezioso….che possa, vincendo le resistenze dei contesti organizzativi non sempre favorevoli, far emergere e scatenare a cascata altri talenti, attivando processi virtuosi, costanti e progressivi a vantaggio della collettività e dei cittadini utenti ”.
[16] TENORE V., La responsabilità amministrativo – contabile: profili sostanziali, Milano, 2004, 165.
[17] TENORE V., Spunti sulla legittimità – liceità di polizze assicurative volte ad eludere la responsabilità amministrativo – contabile, in Corte dei Conti, 1, 2004, 331 e segg.
[18] Corte Conti, Sez. Regione Emilia Romagna, 1 agosto 2006, n. 895; Corte Conti, Sez. Regione Friuli Venezia Giulia, 19 luglio 2007, n. 519; Corte Conti, Sez. III app., 28 settembre 2004, n. 509: la copertura assicurativa dei danni erariali che amministratori o dipendenti di un ente pubblico potrebbero essere chiamati a risarcire in conseguenza della loro responsabilità amministrativa o contabile nei confronti dell’ente stesso o di altri enti pubblici, con oneri a carico dell’ente medesimo, ha come presupposto un contratto nullo e configura anche un illecito da responsabilità amministrativa, causativo di danno erariale per l’importo dei relativi premi di polizza posti a carico del bilancio dell’ente.
[19]POLICE A., Trasparenza e formazione graduale delle decisioni amministrative, in Diritto Amministrativo, 1996, 229.
[20] GARRI F., I giudizi innanzi alla Corte dei Conti. Responsabilità, conti, pensioni, Milano, 2000.
[21] IEVA L., Potere tecnico – discrezionale della P.A. e sindacato del giudice amministrativo: profili teorici ed applicativi, in Il foro amministrativo, 10, 2002, 2665 e segg.
[22] IEVA L., La responsabilità erariale del dirigente per disorganizzazione amministrativa, in Corte Conti, IV, 2006, 350 – 352.
[23] PESCE G., Poteri istruttori e mezzi di prova nel processo amministrativo, Milano, 2003; PERULLI G., La consulenza tecnica d’ufficio nel processo amministrativo, Padova, 2002.
[24] Corte Conti, Sez. I app., 18 marzo 2004, n. 110.
[25] Corte Conti, Sez. I app., 23 settembre 2005, n. 292.
[26] Cass. Civile, Sez. Unite, 8 marzo 2005, n. 4956.
[27] Corte Conti, Sez. II app., 2 maggio 1995, n. 41.
[28] Corte Conti, Sez. II app., 7 novembre 2002, n. 338: il danno da disservizio presenta connotati distinti dal danno all’immagine e si devono individuare nel negligente e trascurato adempimento degli obblighi di servizio, come ad esempio nel caso di specie, nell’omesso svolgimento di verifiche e di ritardi nella redazione della contabilità dell’ufficio e nell’alterazione della stessa., con il conseguente espletamento di funzioni caotiche generatore di danni alla funzionalità dell’ente pubblico.
[29] CORTESE W., La responsabilità per danno all’immagine della Pubblica Amministrazione, Padova, 2004; CIRILLO L., Il danno all’immagine della Pubblica Amministrazione: sua configurazione dommmatica alla luce della più recente giurisprudenza, in Il foro amministrativo, 2003, 2035 e segg.; G. Cassano, Il danno all’immagine della P.A. come danno esistenziale?, in Danno e responsabilità, 2001, 1196 e segg..
[30] Una valutazione sostanzialmente negativa della eccessiva ingerenza dei sindacati nel settore del pubblico impiego è stata sottolineata dalla stessa Corte dei Conti: Sez. Controllo Enti, 27 luglio 1998, n. 67 e Sez. Controllo Enti, 5 febbraio 1998, n. 7.
TALAMO V., Legge e contratto collettivo nel lavoro pubblico dopo il Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, inLavoro nelle pubbliche amministrazioni, 1, 2004, 3 e segg.. IEVA L., La giurisdizione del giudice amministrativo sulle procedure concorsuali interne nel pubblico impiego contrattualizzato, in Il foro amministrativo, 1, II, 243 e segg., ove si pone in evidenza l’incostituzionalità della odierna contrattazione collettiva nel pubblico impiego.
[31] Corte Conti, Sez. contr., 17 maggio 1993, n. 81.
[32] Corte Conti, Sez. Riunite, 15 aprile 1989, n. 612. Per le responsabilità a carico di ministri e sottosegretari, si veda Cass. Civile, Sez. Unite, 29 luglio 2003, n. 11632; per le responsabilità dei deputati si veda Cass. Civile, Sez. Unite, 2 marzo 2006, n. 4582.
[33] Cass. Civile, Sez. Unite, 26 febbraio 2004, n. 3899 ( amministratori di società per azioni partecipate dallo Stato o da enti pubblici, spesso derivanti dalla trasformazione di enti pubblici economici); Cass. Civile, Sez. Unite, 29 novembre 1999, n. 829 e Cass. Civile, Sez. Unite, 2 ottobre 1998, n. 9780 (responsabilità per gli amministratoti di enti pubblici economici). La Suprema Corte ha ritenuto responsabili per danno erariale anche i semplici soggetti privati che si siano inseriti nel circuito pubblico per aver semplicemente ricevuto contributi vincolati al perseguimento di finalità collettive e utilizzandoli per scopi diversi dalla originaria destinazione ( Cass. Civile, Sez. Unite, 22 ottobre 2004, n. 20132).
[34] Corte Conti, Sez. II app., 12 febbraio 2003, n. 44. nella specie, si è ritenuto che sussiste l’illiceità nell’erogazione generalizzata di un premio di produttività che come quello previsto dall’art. 6, DPR 3 agosto 1990, n. 333 deve venire corrisposto soltanto al dipendente che abbia effettivamente eseguito progetti e programmi di lavoro preventivamente concordati.
[35] Corte Conti, Sez. I, 6 dicembre 1994, n. 161.
[36] Si pensi, ad esempio, alla gestione delle cosi dette progressioni o riqualificazioni interne del personale spesso effettuate in violazione di norme di legge e dei principi statuiti dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale (Corte Cost., 26 gennaio 2004, n. 34;Corte Cost., 28 luglio 2003, n. 274; Corte Cost., 23 luglio 2002, n. 373; Corte Cost., 23 maggio 2002, n. 218; Corte Cost., 16 maggio 2002, n. 194; Corte Cost., 4 gennaio 1999, n. 1. APICELLA E. A., Concorsi interni nelle pubbliche amministrazioni; posizioni soggettive del dipendente pubblico e riparto della giurisdizione, in Diritto processuale amministrativo, 4, 2005, 1157 e segg.; TALAMO V., Contratti integrativi delle pubbliche amministrazioni e progressioni professionali: un bilancio, in Diritto Amministrativo, 4, 2001, 557 e segg.
 
 

 


Copyright (c) 2005 - 2010 Patronato Forense - Tutti i diritti riservati   Condizioni d'Uso  Dichiarazione per la Privacy
DotNetNuke® is copyright 2002-2024 by DotNetNuke Corporation