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Preziose informazioni sulla Cassa Forense (a cura di federico Bucci) Riduci
Quello che è quasi impossibile che sappiate
Lo scorso venerdì 23 luglio si è tenuta l’adunanza del Comitato dei Delegati della nostra Cassa di Previdenza e Assistenza.
Oltre all’approvazione del nuovo regolamento delle sanzioni (che dovrà essere approvato dai tre Ministeri vigilanti), sono state rese comunicazioni dal Vice Presidente e dal Direttore Generale, che sarebbe quasi impossibile che potreste apprendere.
Provvedo io.
Sulla costosa celebrazione della previdenza forense con la sua IX Conferenza
Il vagheggiato Fondo Imobiliare e la S.G.R. Immobiliare, questi sconosciuti
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Notizie irritanti (a dir poco) sulla nostra previdenza (a cura di Federico Bucci Riduci

Mentre architetti ed ingegneri protestano per l’indirizzo legislativo liberistico di ampliare le competenze dei geometri (a danno dei più blasonati professionisti), mentre noi aspettiamo lo tsunami dei circa 1.500 nuovi iscritti nell’albo forense romano dopo l’espletamento degli esami orali in corso, sul fronte della nostra previdenza sento il non gradito dovere di riferirvi brutte notizie.

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Ahimè arriva la bufera: quanti avvocati distratti a proprio danno Riduci

La Cassa Forense sta per diffondere raccomandate di “prenotifica” di contestazioni e sanzioni per omissioni ed errori nei versamenti dei Colleghi, relativi all’invio del modello 5 per l’anno 2005 e per l’anno 2006.

I Colleghi che saranno destinatari di tali “letterine” della Cassa Forense per l’anno 2005 sono ben 14.751 e l’ondata di tali contestazioni partirà a breve, mentre ad ottobre saranno inondati ben 18.460 Colleghi per le omissioni ed errori per l’anno 2006, mentre i superdistratti per entrambe tali annualità sommano 11.954.Insomma la Cassa deve tirare gli orecchi ai Colleghi distratti con oltre 45.000 raccomandate, il che significa che circa il 25% degli Avvocati italiani hanno sbagliato per quelle due annualità.

E’ peraltro assolutamente salutare che i Colleghi che saranno colpiti da tali contestazioni  regolarizzino tempestivamente le dette annualità 2005 e 2006 (purtroppo con le sanzioni e gli interessi), salvandosi tali anni ai fini del computo della futura pensione.  Sarebbe tragicamente beffardo che anche per poche decine di euro a suo tempo omesse si perdesse l’annualità.

Tali incredibilmente ricorrenti errori dovrebbero ora ridursi assai sia con il ricevimento dell’estratto conto dei versamenti da ciascuno di noi effettuati, sia con la dichiarazione di quest’anno da trasmettere on line, avvalendosi tutti del sito www.cassaforense.it che non consentirà almeno errori aritmetici (visto che i conteggi pur elementari non li faremo più noi, ma ce li farà il computer della Cassa).

Io stesso incorsi in due errori nei 41 anni di versamenti: un anno versai 500 euro in più (comico, vero?) e due anni dopo 300 euro in meno.  Alla segnalazione della Cassa Forense dovetti convenire che avevo commesso tali due sbagli e così pagai la sanzione e gli interessi per i 300 euro a suo tempo non versati, con un po’ di sollievo contabile per l’accredito dei 500 versati in più, ma almeno salvai l’annualità in contestazione.

Siamo proprio negati per l’aritmetica.
Federico Bucci
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Avvertiamo i 60.000 Avvocati non iscritti alla Cassa Forense (a cura di Federico Bucci) Riduci
Il senso di appartenenza nonché una scrupolosa solidarietà verso i Colleghi con i quali ci dividiamo lo stesso pane deve indurre ciascuno di noi a segnalare agli Avvocati non iscritti alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense il pericolo che stanno correndo.
Tra il totale degli iscritti negli albi tenuti dai Consigli degli Ordini ed il totale di circa 150.000 iscritti alla Cassa forense risultano circa 60.000 Avvocati che -presumo- per la loro quasi totalità non sanno di doversi obbligatoriamente iscrivere alla “gestione separata” dell’INPS per pagare il relativo (salatissimo) contributo, pari a ben il 26,72 % del reddito professionale annuale (comprensivo dello 0%72% del contributo per finanziare l’indennità di maternità).
Da un paio di mesi l’INPS ha iniziato a verificare (presumo con controlli incrociati con l’Agenzia delle Entrate e con la Cassa Forense) i professionisti che, non essendo iscritti alla Cassa di Previdenza della rispettiva categoria, hanno evaso l’obbligo legale di versare all’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale il detto pesante contributo.
E’ opportuno che chi avrà la pazienza di leggere questo testo rammenti ai propri Colleghi che non fossero ancora iscritti alla nostra Cassa Forense che ogni iscritto negli albi ha l’obbligo legale di inviare ogni anno la autodichiarazione sul reddito fiscalmente imponibile e sul volume di affari iva (tramite il modulo chiamato “Mod. 5”, trasmettibile anche on line): tale onere deve essere comunque assolto, anche se i redditi professionali fossero inferiori agli importi che di seguito trascrivo, essendo obbligatoria l’iscrizione alla nostra Cassa soltanto se vengono superati i detti minimi che sono pari :
-per l’anno 2008 ad euro 8.000,00 imponibili ai fini dell’irpef e ad euro 12.000,00 per il volume di affari ai fini dell’iva;
-per l’anno 2009 ad euro 9.000,00 imponibili ai fini dell’irpef e ad euro 13.500,00 per il volume di affari ai fini dell’iva;
-per l’anno 2010 ad euro 10.000,00 imponibili ai fini dell’irpef e ad euro 15.000,00 per il volume di affari ai fini dell’iva.
Ricapitolando, i Colleghi che non superano tali redditi e tali volumi di affari non sono obbligati ad iscriversi alla Cassa Forense, ma sono comunque obbligati per legge ad inviare alla stessa il detto Mod. 5.
Non essendo obbligati ad iscriversi alla Cassa Forense gli sfortunati Colleghi debbono versare il contributo più oneroso alla “Gestione Separata” dell’INPS, compilando la domanda di iscrizione sui moduli presso una sede INPS, eventualmente chiamando per chiarimenti il numero gratuito 803164, ovvero aprendo il sito www.inps.it, alla rubrica “servizi on line”.   Poiché nessun lavoratore può essere privato della copertura previdenziale, tale iscrizione all’INPS è obbligatoria ai sensi dell’art 2, comma 26, della legge 8.8.1995, n 335.
E’ evidente quale sia la soluzione più conveniente per i 60.000 Avvocati che -pericolosamente- non sono ancora iscritti alla Cassa Forense.
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La nuova pensione modulare facoltativa (mica tanto) di Federico Bucci Riduci

Il pittoresco iter della nostra previdenza fino alla recente riforma

La nuova richiesta di pagamento della Cassa Forense

Perché l’aggiuntiva gabella per la pensione modulare

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Ahi, ahi, ahi, la Cassa di Federico Bucci Riduci
- Pletorici ed ipercostosi Organi collegiali
- Commissioni di studio, di fatto permanenti
- La Conferenza sulla Previdenza
- L’inaridimento dell’assistenza sanitaria
- Che dite, me ne vado ?     

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Previdenza e contributi: iscrizione a ruolo in pendenza di impugnato (a cura di Clemente Frascari) Riduci
In tema di riscossione dei contributi previdenziali, mentre nel caso di ricorso giudiziario avverso l'accertamento amministrativo si determina l'effetto inibitorio dell'iscrizione a ruolo ai sensi dell'art. 25 del d.lgs. 44 del 1999, nel caso di ricorso amministrativo l'iscrizione a ruolo non solo è possibile, ma deve avvenire entro i termini di decadenza previsti. Così ha statuito la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 21791 del 14.10.2009.
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Ampi poteri della Cassa Forense sulle nostre pensioni (a cura di Clemente Frascari) Riduci
Ampi poteri della Cassa Forense sulle nostre pensioni. Piena autonomia sulle pensioni degli avvocati da parte della Cassa Forense. Infatti, l’iscritto che non ha maturato trent’anni di contributi non ha alcun diritto alla restituzione di quelli versati “ai fini pensionistici” se, dopo aver compito 65 anni, decide di cancellarsi dall’albo. Ciò è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, che con la sentenza n. 24202 del 16 novembre 2009, ha respinto il ricorso di un avvocato il quale, dopo aver compiuto 65 anni, aveva chiesto la restituzione dei “contributi non utilizzabili ai fini pensionistici” versati nel corso degli anni.
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ADEMPIMENTI FORENSI Riduci
MODELLO 5 E AUTOLIQUIDAZIONE DEI CONTRIBUTI
La comunicazione obbligatoria, di cui all' art. 17 della legge n. 576/80 (modello 5) rappresenta uno strumento fondamentale del rapporto previdenziale avvocato/Cassa Forense.
Il professionista comunica alla Cassa con il modello 5, entro il 30 settembre di ciascun anno, i propri dati reddituali e procede all'autoliquidazione di eventuali contributi dovuti, in unica soluzione, entro il 31 luglio, ovvero in due rate di pari importo, di cui la prima, entro il 31 luglio, e la seconda, entro il 31 dicembre di ciascun anno.
Nell’ambito del progetto, inteso a realizzare l’invio telematico obbligatorio del modello 5, la Cassa ha deciso, nell’anno 2009, di non procedere più alla trasmissione del modello 5 personalizzato, ferma restando la spedizione, a ciascun professionista, dei moduli di pagamento personalizzati e l’invio della modulistica generica ai singoli Consigli dell’Ordine. Con tale iniziativa, la Cassa intende invitare gli interessati ad utilizzare la modalità di trasmissione telematica del modello 5 considerando residuale la possibilità di invio cartaceo del medesimo, tramite ufficio postale.
L'invio telematico del modello 5/2009, può essere effettuato, senza firma digitale, utilizzando il codice PIN ed il codice meccanografico, reperibili nella sezione "accesso riservato" del sito internet della Cassa (www.cassaforense.it ).
Tale modalità di trasmissione è consentita fino al termine del 30 novembre 2009.
La Cassa ha attivato taluni servizi nella sezione "accesso riservato" del sito www.cassaforense.it, al fine di agevolare il pagamento dei contributi e consentire la corretta attribuzione, in forma automatizzata, dei versamenti alle singole posizioni previdenziali, nel rispetto delle relative causali.
Tale servizio consente, al termine della procedura di invio telematico del modello 5, di poter disporre di bollettini M.Av  bancari personalizzati per il pagamento dei contributi dovuti alle rispettive scadenze ovvero di fruire di ordini di bonifico personalizzati. 
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Non trascuriamo di informarci sul bilancio della Cassa di Previdenza Riduci
30.06.09.0 di Federico Bucci.
Lo scorso 26 giugno 2009 è stato approvato dal Comitato dei Delegati il bilancio della Cassa Forense chiuso al 31.12.2008.
La notizia merita risalto per la grande importanza di tale documento per il welfare dell’Avvocatura, che normalmente trascura la propria previdenza ed assistenza.
Il settore delle pensioni costituisce in Italia una piaga allarmante, soprattutto nel settore pubblico (che grava su tutti noi), ma non solo.
Prima di riferire qualche dato sulla previdenza forense mi permetto pertanto qualche indicazione sulla previdenza pubblica, che sta assai peggio di noi.
Nel rapporto dell’OCSE sul livello di spesa pensionistica dei Paesi che ne fanno parte, risalta che l’Italia ha il più alto volume di spesa pensionistica, poiché le pensioni assorbono quasi il 30% del budget pubblico contro il 16% della media dei Paesi OCSE.
Peraltro, la contribuzione all’INPS raggiunge il fantastico livello del 52% sull’imponibile salariale, sicché risulta gravissimo che le pensioni di tale istituto pubblico siano basse e, per di più, l’anno scorso -come al solito- lo stato ha dovuto integrare tale spesa con 10 miliardi di euro.
Mi permetto di ritenere che tale situazione dell’INPS sia dovuta all’appesantimento gravoso costituito sia dall’immane numero delle pensioni di invalidità che hanno furoreggiato fino …. a qualche scandalo fa, sia dall’aver posto a carico dell’INPS i c.d. ammortizzatori sociali (con i quali, quando il pessimo rapporto qualità/prezzo di vetture dell’azienda dei satrapi nazionali registrava una ovvia flessione nelle vendite, i suoi operai venivano messi a carico di Pantalone).   Mi insospettisce, inoltre, che ai vertici del detto istituto siano stati posti per decenni giubilati capi sindacali.
La nostra previdenza sta certamente meglio, ma dobbiamo subìre aumenti contributivi (quest’anno pagheremo il nuovo contributo soggettivo al 12% dell’imponibile professionale e nuovi aumenti sono alle porte).
Come ho spesso segnalato, con lo sbandierato slogan della “solidarietà intergenerazionale”, che suona tanto bene per gratificarci, dalla riforma del 1980 non abbiamo più il sistema a capitalizzazione individuale (sacrosantamente giusto), ma abbiamo subìto l’onere di contribuire alle pensioni dei nostri più vecchi colleghi, che -inoltre- sono risultati sempre più longevi.
Il nostro Paese ha, con il Giappone, il record attuale della longevità, ed i nostri avvocati costituiscono una delle due categorie più longeve, sicché la micidiale riforma del 1980 (della quale io ho capito a fondo il meccanismo soltanto qualche anno fa) coniugata con la esplosa longevità costituisce un pesante onere per la Cassa Forense e così per noi tutti, che già siamo comunque pesantemente colpiti dalla fiscalità generale anche per pareggiare i conti dell’INPS.
I rischi divenuti endemici per la nostra previdenza forense sono due: il dato demografico e le oscillazioni dei mercati finanziari.
Il dato della longevità è aggravato dal montante ingresso nel pensionamento delle nostre colleghe che non soltanto contribuiscono in media meno dei colleghi (per i loro redditi in media inferiori) ma, dati attuariali alla mano, esse tendono a sopravvivere per cinque anni in media rispetto ai pensionati uomini: inoltre, le stesse stanno avvicinandosi al sorpasso nella nostra professione, sicché nel prossimo futuro la Cassa dovrà erogare sempre più pensioni alla pensionate che vivono anche più a lungo.
Oltre a tale tendenza generale, merita considerare che nel bilancio 2008 risulta che la longevità sta già facendo aumentare la percentuale dei pensionati (6,48% in più rispetto a quello registrati nel 2007), mentre gli iscritti “attivi” (quelli che pagano soltanto) sono aumentanti soltanto del 5,30% rispetto al 2007.
Il dato generale in assoluto più sconfortante è che gli iscritti alla Cassa sono soltanto 144 mila avvocati (con pochi praticanti abilitati), così coprendo misteriosamente soltanto i due terzi del numero totale degli iscritti agli albi dei nostri 166 Ordini territoriali.
Qualche dato qua e là. Il bilancio 2008 evidenzia che le entrate contributive sono aumentate del 12,31%, che le spese per la sede della Cassa, i suoi organi ed il personale (276 dipendenti, uno in meno dell’anno precedente) sono diminuite del 5,4% (bravi gli amministratori), nonostante l’automatico lievitare della spesa per i personale.
Il dato più impressionante per me è la ripartizione degli investimenti (asset allocation), sulla quale ho spesso richiamato l’attenzione degli amministratori: sui titoli mobiliari la Cassa ha investito l’86,4% e sugli immobili soltanto il 13,6%.
Secondo me tale ripartizione è pericolosa e non vale a consolarci che i titoli rendono di più degli immobili, poiché quello che gridavo al vento da tanto tempo si è verificato con lo scoppio del bluff dei mercati finanziari e della miriade di sanguisughe che ci allignano.
Il non cospicuo patrimonio immobiliare della Cassa evidenzia ricavi da locazione al 6,27% annuo, ma essi sono falcidiati da spese di manutenzione, di stipendi di portieri (che comunque vigilano sui nostri beni), di imposizione fiscale, di qualche (assai rara) morosità, ecc.
Sarei già felicissimo se qualche Collega fosse giunto a leggere questo testo fin qui, sicché gli faccio grazia e concludo riferendo che il bilancio 2008 è stato votato da 72 Delegati (su 79 eletti poco tempo fa), con una approvazione di 60 favorevoli (tra cui il sottoscritto), 1 contrario (chissà perché), 11 astenuti e 3 in quel momento assenti (un caffè, la toilet ?), mentre il badge magnetico risultava anche per essi inserito per la conta dei presenti.
Mi ha sorpreso il numero esiguo degli astenuti (11), considerando che ben 43 Delegati (su 79) sono neo eletti e già nella precedente adunanza del Comitato hanno dovuto votare (in gran parte al buio) per eleggere il nuovo Presidente della Cassa e cinque nuovi Consiglieri di amministrazione, con mia inutile protesta per tale coincidenza a danno (indubbiamente) dei 43 nuovi Delegati, i quali alla successiva adunanza del 26 giugno, hanno pure dovuto votare il bilancio 2008, zeppo di dati e grafici, con relazioni dei Sindaci, dei revisori, ecc. e composto da 4 centimetri di spessore.
Pochi dunque (11) coloro che almeno si sono astenuti nella votazione sul bilancio.
Insomma, sono stufo di protestare a fin di bene. 
Cominciate ad interessarvi tutti del bene comune. 

15.06.09. Leggere qui per imparare a farci gli affari nostri (Avvocati clandestini alla Cassa) Riduci
E’ noto che nel nostro mondo professionale siano ancora pochi - e soprattutto non i più giovani - che conoscono il nostro sistema ordinistico e quello previdenziale.   Pubblichiamo un articolo di Dario Donella, il più grande conoscitore del mondo previdenziale forense, che è anche un grande Avvocato, per indurre i lettori ad interessarsi utilmente della nostra previdenza.
L’articolo che segue era destinato alla rivista La Previdenza Forense - la lettura della quale è incoscientemente negletta dai più - ma abbiamo indotto l’Autore a consentirne l’anteprima per il nostro sito. Il sentito ringraziamento è meritato dall’Autore e dalla rivista della Cassa Forense, che ci hanno consentito l’anticipazione di quanto è salutare conoscere.
 
Federico Bucci
  
Avvocati clandestini per la Cassa
Gli iscritti agli albi sono molto più numerosi degli iscritti alla Cassa
 
Nell’esaminare il rapporto tra il numero degli avvocati iscritti alla Cassa e quello degli iscritti agli albi, si nota una differenza notevole, che non si riesce a spiegare, perché sono difficili da individuare le cause del fenomeno, per scarsità di informazioni.
Nei dati raccolti, con riferimento omogeneo al 31 dicembre 2008, si nota che gli iscritti agli albi ammontano a 198.041, mentre gli iscritti alla Cassa sono solo 144.072.
La differenza è di 53.969, di cui poi cercheremo di individuare le cause operando per presunzioni.
In realtà, la differenza è maggiore, perché, tra gli iscritti alla Cassa, sono compresi praticanti abilitati che ne abbiano fatto richiesta, il cui numero è difficilmente accertabile.
Nel 2006, la differenza tra iscritti albi ed iscritti Cassa era stata inferiore, pari a 48.775: 178.134 iscritti agli albi contro 129.359 iscritti alla Cassa.
La differenza tra le due rilevazioni è sensibile perché ammonta a 4.194.
Dalla rilevazione del 2008, viene confermato un dato sorprendente, tenuto conto che il requisito per l’obbligatorietà dell’iscrizione alla Cassa è fissato in dichiarazioni dei redditi e dei volumi d’affari in misura senz’altro esigua: per il 2007 (anno di rilevazione a cui fanno riferimento i dati indicati) 7.590,00 Euro di reddito ed 11.385,00 di volume d’affari.
Ciò significa che gli iscritti agli albi non iscritti alla Cassa hanno redditi e volume d’affari inferiori a quelli ora indicati.
E’ mai possibile che ci siano avvocati con reddito ben inferiore al costo di una domestica a mezzo servizio? E ancora meno rispetto al dipendente degli studi professionali con la retribuzione più bassa?
Le risposte possono essere molteplici.
a) Vi è certamente un rilevante numero di avvocati, che non esercitano affatto la professione, perché svolgono altre attività di lavoro.
Qualcuno (ma pochi), perché benestante.
Il fatto di avvocati iscritti all’albo, che non esercitano affatto la professione, potrebbe essere rilevato dai Consigli dell’Ordine con una opportuna indagine nei confronti degli avvocati non iscritti alla Cassa, i cui elenchi possono essere forniti dalla Cassa stessa.
b) Si devono considerare gli avvocati che svolgono altra attività di lavoro compatibile (esempio insegnanti), per i quali il reddito professionale può avere rilievo del tutto marginale.
c) Si deve poi pensare ai giovani, che hanno redditi minimi o comunque molto bassi e costi (rilevanti per valutare il volume d’affari) minimi o inesistenti, se prestano attività presso qualche collega anziano.
Il fenomeno è più accentuato per le giovani donne, che spesso esercitano la professione a tempo parziale e sono aiutate da mariti e parenti.
Trascorsi però cinque o sei anni dalla iscrizione all’albo e superata una età di trentatre - trentacinque anni, redditi così infimi non si giustificano proprio, per chi eserciti effettivamente la professione.
d) L’altro fenomeno di entità probabilmente rilevante, ma difficilmente determinabile, consiste nella evasione fiscale.
Si tratta certo di un fenomeno di notevole gravità, che non può in alcun modo essere giustificato, anche se è diffusa la convinzione che spesso si tratti di “evasione di necessità”.
Ben misera la professione che, per consentire un minimo reddito spendibile a chi la esercita, costringesse ad evadere il Fisco!!
In merito a questo fenomeno, bisognerebbe risvegliare la coscienza di tutti sul fatto che gli adempimenti fiscali sono un obbligo di primaria importanza, il cui adempimento influisce notevolmente sulla dignità del professionista e la cui violazione è considerata illecito disciplinare (art. 15 del codice deontologico).
In questo campo, però, la sensibilità di troppi avvocati è molto attenuata ed i controlli pressoché inesistenti.
E’ significativo che il rapporto iscritti albi iscritti Cassa, sia abbastanza diverso tra le varie regioni e che la differenza sia maggiore dove vi è motivo di credere che sia maggiore, l’evasione fiscale.
Questa presunzione può essere difficilmente superata.
 
Le percentuali tra iscritti Cassa e iscritti albi in alcuni distretti e in alcuni ordini.
 
Vale forse la pena fare un sommario ed affrettato confronto tra vari distretti e poi tra singoli Ordini.
Al nord, abbiamo il distretto di Milano, che ha una percentuale iscritti Cassa/iscritti albi pari al 94%.
Nei singoli ordini, vi sono punte a Como e Sondrio col 100%, a Lodi con il 99% e a Lecco con il 95%.
Per valutare bene le percentuali più alte, bisogna tener conto che, negli iscritti Cassa, sono compresi anche i praticanti che si iscrivono volontariamente, pur non avendone l’obbligo.
Altri Ordini con percentuali di iscritti alla Cassa molto elevati sono Aosta 94, Biella 95, Lecco 95, Bolzano 98, Bergamo 91, Rovereto 93, Tolmezzo 92, Reggio Emilia 93.
Le ipotesi fatte in precedenza, circa le ragioni per le quali non tutti gli iscritti all’albo sono iscritti anche alla Cassa, rendono giustificata questa differenza (fisiologica), così da poter affermare che, ne molti distretti del nord, non vi sono avvocati “clandestini” per la Cassa, cioè iscritti agli albi non iscritti alla Cassa stessa.
In una posizione intermedia, si pongono i distretti del centro, dai quali si stacca il distretto di Firenze, che ha la percentuale “nordica” di 86 tra iscritti Cassa ed iscritti albi.
Il distretto di Roma, che ha un grande numero di iscritti, ha una percentuale del 77.
Nel centro, si distinguono, per elevatezza della percentuale, gli Ordini di Arezzo col 93, Livorno e Montepulciano col 91, Prato con l’87.
Nel centro, dunque, lo scarto tra iscritti Cassa ed iscritti Cassa, assume rilievo ed impone interrogativi a cui è più difficile dare risposta.
Ancora più difficile dare risposta e comprendere il fenomeno è nel sud, dove i distretti di Catanzaro e Reggio Calabria hanno rispettivamente il 52% ed il 53% nel rapporto tra iscritti Cassa ed iscritti albi, Napoli ha il 62%.
La punta più bassa si ha nell’Ordine di Reggio Calabria con il 46%, seguito da Paola e da Vibo Valenzia col 48%, Rossano col 50%, mentre hanno il 52% Larino, Lagonegro, Cosenza e Catanzaro; Castrovillari ha il 54% e Lucera ha il 55%.  
Molto basse le percentuali di iscritti Cassa/iscritti albi sono anche in Sicilia, con la media più bassa tra i vari distretti in quello di Messina con il 55%.
Tra i circondari, oltre a tutti quelli del distretto di Messina, hanno percentuali basse Nicosia col 52% e Catania col 54%.
Tra le isole, si differenzia la Sardegna con una media complessiva del distretto di Cagliari del 72% e punte negli Ordini di Oristano del 79%, Sassari del 74% e Cagliari del 73%.
Attendiamo dagli amici del sud e dalla Sicilia informazioni che rimuovano in noi il cattivo pensiero che lo scarso numero di iscritti alla Cassa sia dovuto in buona parte al triste fenomeno dell’evasione fiscale.
E’ certamente difficile trovare una spiegazione diversa dall’evasione fiscale per i circondari che hanno una percentuale addirittura di sotto del 50% o molto prossima ad esso.
 
La Cassa non può imporre l’iscrizione a tutti gli iscritti agli albi.
 
A questo punto, è giusto porsi il problema se sia possibile e opportuno che la Cassa imponga a tutti agli iscritti agli albi di iscriversi ad essa.
Riteniamo che, dal punto di vista normativo, la cosa non sia possibile.
Da sempre, le leggi, che hanno disciplinato la previdenza forense, hanno stabilito che l’iscrizione obbligatoria si abbia per chi esercita la professione “con carattere di continuità”.
E’ dunque da escludere la possibilità di iscrizione da parte della Cassa di tutti gli iscritti agli albi, per carenza di poteri.
La Cassa, per aumentare il numero degli iscritti, potrebbe abbassare i livelli di reddito e di volume d’affari indicati come prova “presuntiva” dell’esercizio continuativo.
I limiti attualmente in vigore sono però così bassi, che ridurli ulteriormente appare contro ogni logica, perché è già difficile attribuire carattere di continuità ad un esercizio professionale che non sia produttivo di un reddito paragonabile a quello di lavoratori subordinati.
Il basso livello dei limiti di reddito e volume d’affari per l’obbligatorietà dell’iscrizione alla Cassa è stato suggerito dal fatto notorio che le dichiarazioni dei redditi fiscali degli avvocati sono sempre state molto basse con la conseguenza che livelli più alti escluderebbero dalla previdenza troppi professionisti.
Se vi è il sospetto che le dichiarazioni di redditi e di volume d’affari molto bassi siano conseguenza di evasione fiscale, non si possono aprire le porte della Cassa ad immeritevoli.
Non si può dimenticare che chi ha redditi minimi paga il contributo minimo, il quale consente di ottenere una pensione ben più elevata di quella che sarebbe giustificata dall’importo dei contributi pagati.
Chi, pertanto, per tutta la vita professionale paga soltanto il contributo minimo, riceve un beneficio molto rilevante. Il beneficio si può giustificare per avvocati sfortunati nella vita professionale e soprattutto per quelli che vivono in aree economicamente molto disagiate, ma non certo per coloro che evadono il Fisco.
 
Il necessario intervento del legislatore; imporre anche per la conservazione della iscrizione all’albo l’onere dell’esercizio effettivo e continuativo.
 
Ed allora, bisogna rassegnarsi al permanere della situazione attuale?
No certo, ma il rimedio non sta in provvedimenti di competenza della Cassa, ma da in un intervento legislativo.
Come i rappresentanti della Cassa reclamano da moltissimo tempo, è necessario introdurre nell’ordinamento professionale una norma che imponga l’esercizio continuativo ed effettivo della professione per la conservazione dell’iscrizione all’albo.
E’ assolutamente necessario che, per lo meno all’inizio, vi sia una identità tra i criteri di accertamento dell’esercizio effettivo o continuativo adottati dalla Cassa e quelli validi per l’iscrizione agli albi.
Qualsiasi altro metodo creerebbe difficoltà pressoché insormontabili per gli accertamenti e determinerebbe una disomogeneità non giustificabile.
Deve essere introdotto il nuovo concetto che anche la conservazione della iscrizione all’albo richiede l’esercizio effettivo e continuativo, come mezzo assolutamente insostituibile, almeno per mantenere se non proprio per migliorare la preparazione professionale, verificata all’inizio con l’esame di Stato.
Si sono riscontrate numerose, ma assolutamente incomprensibili, contrarietà all’introduzione nell’ordinamento professionale di questo principio.
E’ diffuso un senso di pietismo, che vorrebbe accogliere e conservare iscritto anche chi non lavora affatto o lavora molto poco e produce poco volume d’affare e poco reddito.
Questo buonismo è deplorevole se consapevolmente favorisce il perdurare dell’evasione fiscale.
E’ certamente ingiustificato mantenere negli albi professionisti inevitabilmente privi della necessaria capacità di fornire prestazioni qualificate.
 
Comunicazioni non inviate - redditi nulli - redditi insufficienti.
 
Nel prossimo numero della rivista, verranno pubblicati i dati dei redditi e dei volumi d’affari dichiarati dagli avvocati italiani nel 2008, con riferimento all’attività svolta nel 2007.
I risultati sono ancora una volta desolanti, anche se si nota un leggero miglioramento.
I dati, che qui interessano, si riferiscono soltanto al numero di percettori di reddito e di volume d’affari minimi.
Come in precedenza evidenziato, si deve distinguere tra:
- chi non esercita affatto la professione;
- chi la esercita marginalmente perchè svolge anche altra attività;
- chi è giustificato per l’età;
- chi evade il fisco.
Nel valutare il numero delle dichiarazioni non inviate, con reddito pari a zero o con redditi inferiori al minimo per l’iscrizione obbligatoria alla Cassa, si tenga presente che, tra tutti gli iscritti agli albi, le dichiarazioni non presentate (si presume da parte di chi non lavora affatto o da evasori “totali”) sono state 22.342; i redditi inferiori a zero 1.210 e i redditi pari a zero 24.053.
In totale 47.605, i quali negli albi non ci dovrebbero proprio stare!
A questi si aggiungano coloro che hanno dichiarato redditi tra 1 e 790 Euro (il limite per l’obbligatorietà dell’iscrizione) pari a 28.305.
In totale dunque 75.911 con redditi nulli o inferiori al minimo per l’iscrizione: trattasi di avvocati per i quali va fatto uno stretto controllo.
Si tenga comunque presente che:
1) per l’efficacia all’iscrizione alla Cassa è sufficiente la media di tre anni sia per i redditi, sia per i volumi d’affari, gli uni alternativi agli altri, mentre, per la iscrizione è sufficiente il superamento del limite per un solo anno;
2) è sufficiente che i livelli minimi di reddito e di volume d’affari siano superati anche per uno solo dei due dati.
Questo fatto fa sì che possano iscriversi alla Cassa avvocati con reddito nullo (o negativo), ma che abbiano dichiarato un volume d’affari superiore al minimo.
Si spiega con queste due regole che il numero degli avvocati con redditi nulli o inferiori al minimo sia superiore al numero degli avvocati non iscritti alla Cassa.
Va ricordato che i dati dei redditi si riferiscono al 2007, mentre i dati relativi al numero degli iscritti pubblicati in questo numero della rivista si riferiscono al 31 dicembre 2008.
Comparando i dati relativi: a) ai soli iscritti Cassa, b) agli iscritti albi non iscritti alla Cassa, e c) a tutti gli iscritti agli albi, si hanno questi risultati per quanto riguarda i redditi più bassi:
 
 
 
dichiarazioni dei soli iscritti alla Cassa
dichiarazioni degli iscritti agli Albi ma non alla Cassa
dichiarazioni di tutti gli iscritti agli Albi
1
non percepiti
7.964
14.378
22.342
2
< zero
800
410
1.210
3
zero
4.767
19.286
24.053
4
1-790
17.358
10.948
28.306
 
Totale
30.889
45.022
75.911
 
 
Conclusioni
 
Di fronte all’evidenza emergente da questi dati, c’è ancora chi sostiene che vada mantenuto iscritto agli albi chi non ha alcun reddito o chi dichiara questi livelli infimi di reddito?
Non si comprende bene che costoro inducono a giudizi non certo benevoli nei confronti dell’intera avvocatura?
Non ci si rende conto che costoro non possono dare alcun affidamento di fornire ai clienti prestazioni qualificate?
Invitiamo tutti a leggere i dati analitici di redditi e volumi d’affari degli avvocati italiani, che verranno pubblicati nel prossimo numero della rivista. E a meditare per trarne coerenti conclusioni.
 
Dario Donella
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Leggere qui per imparare a farci gli affari nostri (L’accesso alla Avvocatura tra storia e attualità) Riduci
15.06.09. Le cause di tutti i nostri guai sono l’indifferenza al bene comune, il non coltivare il senso di appartenenza ed infine l’ignoranza di tutto ciò che ci riguarda (e se ne avrebbe tanto bisogno, a cominciare dal sistema dei compensi professionali, per i quali tanto mi impegno sia con conferenze, sia con l’assistenza ai Colleghi in difficoltà nel redigere le note specifiche, sia con l’assistenza addirittura in giudizio, costituendomi per i Colleghi contro clienti ingrati, i quali dunque “si meritano” perciò di aver a che fare con la mia lunghissima esperienza in materia, maturata in un quarto di secolo al servizio, febbrile e appassionato, dei Colleghi nel Consiglio dell’Ordine forense romano).
Per contrastare la diffusa ignoranza sui temi che ci riguardano, credo che si debba iniziare con l’interessare i più giovani Colleghi alle nostre (alle loro) sorti, non delegando il futuro a personaggi che, talvolta modesti, si propongono insistentemente per occupare e colonizzare in gran parte le nostre istituzioni di autogoverno, spesso non avendone una indispensabile, altissima statura intellettuale, culturale, morale e professionale.
Dunque invoco un “Largo ai Giovani” e sono pronto ad aiutarli a farsi strada anche nelle nostre istituzioni, alla sola condizione che si dimostrino all’altezza, a cominciare dalla conoscenza del nostro ordinamento professionale.
Per approvvigionarsi del necessario sapere mi permetto di indicare anzitutto la lettura dell’articolo che segue, dalla penna di un grande Collega, di Verona, Dario Donella, facondo e fecondo autore di saggi sul nostro mondo ordinistico e previdenziale.
Vi unirete a me nella gratitudine per quello che tale eminente Collega - in nome del senso di appartenenza - ci dona del suo sapere dei fatti nostri.
Poiché l’articolo era destinato ad essere pubblicato sulla rivista della Cassa di Previdenza e Assistenza Forense, ringraziamo l’Autore e La Previdenza Forense che ci hanno consentito l’anticipata pubblicazione.
 
Federico Bucci
 
L’accesso alla Avvocatura tra storia e attualità
 
Presentazione
 
In questa relazione, viene fatta una storia dell’avvocatura moderna in Italia, quanto mai sintetica, rivolta soprattutto ai colleghi stranieri e ai giovani che non ne conoscono le vicende.
Vengono poi indicati alcuni temi variamente dibattuti, che hanno interessato gli avvocati italiani, o che possono tuttora interessare tutti i partecipanti al convegno.
 
L’accesso alla nascita dell’ordine forense
 
La storia moderna dell’avvocatura inizia nel 1874.
E’ in quell’anno che viene approvata la legge 8 giugno 1974, n. 1938, accompagnata dal Regolamento approvato il 26 luglio 1884, n. 2012.
Con queste leggi, è nato l’ordine forense. A dire il vero, nelle leggi non si parlava ancora di “ordini”, ma di “collegi”.
Due erano i collegi: quello degli avvocati e quello dei procuratori.
La distinzione tra queste due professioni corrispondeva ad una tradizionale differenza di funzioni: il procuratore era il rappresentante della parte in giudizio, mentre l’avvocato era il difensore al quale spettava il compito di illustrare gli argomenti di fatto e di diritto a sostegno delle istanze del cliente.
Con la legge del 1874, fu prescritta l’iscrizione ad un albo per l’esercizio della professione.
Fu tenuto distinto l’accesso alle due professioni ciascuna con il suo albo. Per entrambe le professioni, era prevista una pratica biennale da svolgere presso un avvocato o presso un procuratore. Le modalità della pratica erano eguali e consistevano quasi esclusivamente nella frequenza dello studio di un professionista e nella assistenza alle udienze giudiziarie.
Per la iscrizione negli albi, era poi previsto, per entrambe le professioni, un distinto esame, organizzato tuttavia in modo quasi identico.
Gli esami si svolgevano presso ciascuna Corte d’Appello due volte all’anno e, grazie al limitato numero dei partecipanti, il risultato si conosceva in pochi giorni.
Gli esami si svolgevano nei vari distretti; essi consistevano in una prova scritta ed una prova orale.
I temi della prova scritta erano tre ed erano dettati dalle commissioni.
La prova orale verteva su quesiti relativi ai principi generali di diritto ed alle norme dei codici, applicati ai fatti proposti dagli esaminatori.
La legge stabiliva che l’esercizio della professione di avvocato per due anni consentisse la iscrizione nell’albo dei procuratori. Non era prevista una iscrizione nell’albo degli avvocati per i procuratori, se non attraverso lo specifico e diverso esame.
Non ci sono notizie precise circa il fatto che i due distinti esami siano stati indetti per tutto il tempo in cui è rimasta in vigore la legge del 1874.
La possibilità per gli avvocati di iscriversi all’albo dei procuratori, dopo un biennio di esercizio professionale, fa supporre che, da un certo momento in poi, siano stati indetti solo gli esami di avvocato: chi mai avrebbe voluto sostenere un secondo diverso esame, se uno era sufficiente per l’iscrizione in entrambi gli albi?
 
Le riforme del 1926 e del 1932
 
Questo sistema di accesso alla professione è rimasto sostanzialmente immutato fino alla riforma approvata nel 1926, con legge 23 marzo 1926, n. 453, con il relativo regolamento approvato con R.D. 26 agosto 1926, n. 1683.
Fu mantenuto il sistema degli albi e la separazione delle due professioni.
Le modifiche delle caratteristiche dell’accesso per le due professioni sono state innovative e rilevanti.
La professione di avvocato e quella di procuratore sono state mantenute distinte con le stesse funzioni del passato, anche se, col tempo, la distinzione aveva perso rilievo (salvo che in Piemonte e in Liguria dove è stata più a lungo conservata la tradizione).
Per la professione di procuratore, vennero introdotte delle limitazioni territoriali (il distretto di Corte d’Appello) e venne prescritto l’esame di Stato unico in tutta Italia, con facoltà del Ministro di Grazia e Giustizia di fissare un numero determinato di posti per ogni distretto. L’esame doveva svolgersi nelle sedi delle Corti d’Appello.
Rimase l’obbligo della pratica per due anni con caratteristiche analoghe a quelle del passato.
Per compiere la pratica, era (come ora) necessaria l’iscrizione all’apposito registro, che non attribuisce una qualificazione professionale, poiché la pratica ne è soltanto preparatoria.
L’albo degli avvocati non aveva alcuna limitazione numerica e per l’accesso era previsto un autonomo esame, che si svolgeva nell’unica sede in Roma.
Per la prima volta, per l’iscrizione all’albo, fu prescritta la condotta specchiatissima ed illibata sotto ogni rapporto.
La legge del 1926 fu poi modificata con r.d.l. 27 novembre 1933, n. 578, con il regolamento approvato con R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, che sono tuttora per la maggior parte in vigore, pur essendo state approvate successivamente molte modifiche.
Con la legge del 1934, l’ordinamento della professione forense venne adeguato al sistema corporativo per il quale gli ordini vennero sostituiti con i sindacati fascisti.
Questa trasformazione non ebbe però rilievo per le modalità di accesso alle professioni.
La innovazione principale, per quanto riguarda l’accesso, fu che, per l’iscrizione all’albo degli avvocati, era necessario aver prima acquisito il titolo di procuratore.
Per l’iscrizione nell’albo degli avvocati, era prescritto l’esercizio lodevole della professione di procuratore per almeno sei anni.
In alternativa, era stato anche previsto un esame, che poteva essere sostenuto due anni dopo l’iscrizione all’albo dei procuratori, nella unica sede in Roma.
L’iscrizione per anzianità ha fatto sì che il numero dei partecipanti all’esame di avvocato sia stato sempre molto limitato anche per la sua severità (quattro prove scritte ed una prova orale su tutte le materie).
Il periodo di pratica di procuratore fu mantenuto in due anni, ma un anno poteva essere sostituito dalla frequenza di corsi speciali, istituiti presso università. Questi corsi vennero costituiti in poche università ed ebbero poco successo.
Al praticante procuratore era concesso il patrocinio per quattro anni limitato alle giurisdizioni minori del distretto della Corte d’Appello in cui egli era iscritto. Era previsto che l’esercizio del patrocinio potesse sostituire la normale pratica per l’intero biennio. Non si hanno notizie circa la utilizzazione di questa disposizione. Essa è stata tacitamente abrogata con la riforma del tirocinio negli anni 1985/1990.
L’abilitazione al patrocinio, dopo l’ultima riforma, può essere chiesta dopo un anno di tirocinio e dura sei anni, da quando può essere richiesta.
Il praticante abilitato, a differenza del praticante senza abilitazione, è soggetto alle regole delle incompatibilità proprie dell’avvocato.
Con il decreto luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 382 (questo è stato il modo di legiferare alla fine della guerra fino alla ricostituzione degli organi parlamentari), furono introdotte importanti innovazioni. Era stata “sospesa” la norma circa la limitazione numerica per l’iscrizione all’albo dei procuratori, mentre la pratica era stata ridotta ad un anno. Per l’iscrizione all’albo dei procuratori, venne mantenuto l’obbligo dell’esame di Stato, confermato poi da norma costituzionale (art. 33, comma 5).
Si può ritenere che la norma costituzionale, che ha prescritto l’esame per l’accesso alla professione di procuratore, in sostituzione del concorso con limitazioni numeriche, abbia avuto un effetto abrogativo della norma sulla limitazione numerica, mentre era opinione diffusa che la limitazione numerica fosse stata soltanto “sospesa”.
Questo sistema è rimasto pressoché immutato fino alla approvazione delle leggi che hanno innovato in merito alla pratica e all’esame (legge 24 luglio 1985, n. 406; legge 27 giugno 1988, n. 242; legge 20 aprile 1989, n. 142; DPR 10 aprile 1990, n. 101).
La durata della pratica è stata riportata a due anni.
Le modalità di svolgimento della pratica sono state disciplinate con il regolamento contenuto nel DPR 101/1990.
E’ stato mantenuto l’obbligo della frequenza di uno studio di procuratore, sono stati previsti corsi post-universitari e “scuole di specializzazione”, non obbligatori e perciò finora di successo molto limitato. L’innovazione più interessante è stata l’obbligatorietà del diario della pratica nel quale devono essere annotate tutte le attività compiute, con l’attestazione del procuratore, che ha accolto il praticante nel suo studio.
E’ stato rafforzato l’obbligo dei consigli dell’ordine di vigilare sull’effettivo svolgimento del tirocinio.
Per poter sostenere l’esame di procuratore (ora di avvocato), è tuttora necessario: frequentare uno studio di procuratore, che può essere sostituito in parte dalla frequenza dei corsi post-universitari. E’ inoltre prevista la frequenza (non obbligatoria) ai corsi di formazione professionale o scuole forensi.
E’ dubbio se la pratica possa essere svolta anche all’estero.
Interessante innovazione, per quanto riguarda l’esame, è stata l’obbligo di sostenerlo presso la Corte d’Appello nell’ambito della quale era stato svolto il tirocinio. Inoltre è stata consentita la consultazione di raccolte di giurisprudenza, prima vietate.
Era stato prescritto che l’iscrizione all’albo, dopo il superamento dell’esame, potesse essere fatta soltanto nell’ambito del distretto, dove l’esame era stato sostenuto, ma poi questa norma è stata dichiarata incostituzionale.
Era anche prevista la possibilità di iscrizioni di diritto prevalentemente per doventi universitari e per magistrati dopo un certo numero di anni di esercizio delle funzioni. Questa disposizione si può ritenere abrogata dalla Costituzione (art. 3, comma 5), così come può ritenersi incostituzionale la norma della legge 24 febbraio 1997 n. 27, che l’ha confermata.
La professione di procuratore è stata soppressa nel 1997 ed i procuratori sono confluiti nell’unica professione di avvocato.
 
Le prospettive di riforma ora all’esame del Parlamento
 
E’ ora all’esame del Parlamento la riforma della professione di avvocato, che necessariamente coinvolge in modo rilevante anche l’accesso alla professione.
Il grande numero di nuovi iscritti agli albi di avvocato induce molti a chiedere regole restrittive per l’accesso.
Non si può però ritenere giustificata una restrizione del numero di nuovi iscritti soltanto per una ragione numerica, anche se il numero eccessivo di iscritti negli albi forensi è motivo di preoccupazione.
Si deve ritenere che l’accesso debba essere selezionato soltanto in ragione delle capacità professionali dimostrate da chi aspira ad accedere alla professione.
E’ opinione diffusa che l’elevatissimo numero di nuovi iscritti abbia avuto effetti negativi anche sul livello della loro capacità professionale.
Il contenimento del numero degli iscritti dovrebbe essere però il naturale effetto di una selezione basata sulla qualità dei candidati.
Questo significa che bisogna senz’altro accrescere gli strumenti di miglioramento della preparazione, nella quale dovrebbe essere molto qualificante la frequentazione di corsi formativi.
Non si può certo rinunciare all’efficacia selettiva dell’esame, ma l’effetto selettivo per gli avvocati dovrebbe conseguire ad alcune apposite disposizioni:
-        stabilire che le prove, scritte e orali, mirino a dimostrare la cultura giuridica del candidato e, soprattutto, la capacità di utilizzare le nozioni teoriche nell’esercizio professionale;
-        individuare un sistema di eguale trattamento di tutti i candidati nelle varie sedi distrettuali, così da evitare che vi siano sedi nelle quali la facilità dell’esame consenta l’accesso anche a giovani impreparati;
-        più importante però è prescrivere, in modo efficace, l’esercizio effettivo della professione, perché solo questo esercizio può dare garanzia che, attraverso di esso, l’iscritto non solo conservi, ma migliori le sue capacità, che già dovrebbero essere state valutate con l’esame.
E’ giusto e doveroso attribuire notevole rilievo ai corsi di formazione, anche se la loro organizzazione presenta ovvie difficoltà: nelle grandi sedi, per l’elevato numero dei frequentatori; e, nelle piccole, per difficoltà di trovare docenti qualificati.
Si dovrebbe attribuire un notevole rilievo alla frequenza ai corsi. Va verificata la opportunità della loro obbligatorietà, che può determinare degli inconvenienti; prima di tutto, la estrema difficoltà di organizzare corsi in tutti i circondari italiani, anche se forse è possibile ottenere questo risultato costituendo raggruppamenti tra quelli minori. Occorre evitare che la frequenza dei corsi comporti oneri economici sopportabili solo da coloro che appartengono a famiglie benestanti. Non va poi dimenticato che, se la frequenza ai corsi comportasse lunghi spostamenti, non solo essa renderebbe la frequenza economicamente onerosa, ma potrebbe sottrarre troppo tempo alle altre forme di tirocinio, tra le quali dovrebbe conservare funzione prevalente la frequenza di uno studio professionale.
Si possono qui ricordare alcuni principi enunciati dal Calamandrei nel lontano 1923 e ricordati dal Cappelletti:
1) bisognerebbe riconoscere il diritto del praticante a svolgere la pratica e l’obbligo legale dei professionisti esercenti di impartire il necessario insegnamento;
2) dovrebbe essere riconosciuto il diritto del praticante alla retribuzione;
3) potrebbe essere opportuno prevedere un periodo di pratica presso gli uffici giudiziari.
Non v’è dubbio che la riforma dell’accesso costituisce la scommessa più importante della riforma della professione.
 
Le due professioni: avvocato e procuratore
 
Per molto tempo, si è discusso circa la possibilità di mantenere separata la professione di procuratore (rappresentante della parte in giudizio) da quella di avvocato (difensore che illustra le questioni di fatto e di diritto).
Dopo l’approvazione della legge del 1934, l’accesso ad entrambe le professioni era divenuto comune con la necessità di diventare prima procuratori per poter diventare poi avvocati.
L’accesso alla professione di avvocato per i procuratori non aveva bisogno né di altro esame né di alcuna specifica preparazione, perché era sufficiente il “lodevole” esercizio per sei anni della professione di procuratore.
Con la separazione effettiva delle due professioni, vi sarebbe stata la necessità che la parte fosse assistita in ogni giudizio da due difensori.
Poiché era necessaria la presenza in giudizio del procuratore, ma solo facoltativa quella dell’avvocato, è stato naturale che il procuratore abbia allargato i suoi compiti nel giudizio assolvendo anche quelli che sarebbero stati propri del difensore.
La possibilità di iscrizione in entrambi gli albi, e soprattutto l’accesso alla professione di avvocato limitato a chi avesse ottenuto il titolo di procuratore ed esercitato questa professione, ha reso inutile la distinzione; infatti, il procuratore poteva svolgere la funzione di illustrare le difese, mentre l’avvocato poteva ben rappresentare il cliente, per la possibilità di essere iscritto dopo qualche anno in entrambi gli albi.
Appariva ingiustificata la limitazione territoriale dell’esercizio dell’attività di procuratore, con la conseguenza che, al di fuori del distretto, l’avvocato civilista, anche se avvocato, aveva bisogno della collaborazione di un procuratore iscritto nel distretto nel quale doveva svolgere attività difensiva.
La nullità degli atti compiuti dal procuratore (o dell’avvocato che fosse anche procuratore) al di fuori del distretto appariva un’anomalia certamente ingiustificata.
La legge, che ha abolito la professione di procuratore (24 febbraio 1997 n. 27), ha perciò convalidato una evoluzione già avvenuta nel modo di esercizio della professione, con l’effetto principale di eliminare ogni limitazione territoriale alla rappresentanza processuale. Questa limitazione poteva essere ritenuta anche ingiustificata sulla base delle norme costituzionali.
L’accesso all’avvocatura è ora unico, perché unica è la professione.
 
Albi chiusi, albi aperti, albi selezionati
 
L’albo dei procuratori è rimasto “chiuso”, cioè con limitazione del numero delle iscrizioni ammesse, dal 1926 al 1944.
Sono state interminabili, e durano tuttora, le discussioni tra avvocati se questa chiusura sia opportuna, o se piuttosto debba ritenersi preferibile la mancanza di ogni limite numerico agli iscritti agli albi forensi.
Il motivo della richiesta di chiusura consiste nel fatto che il numero degli iscritti agli albi forensi aumenta costantemente con riflessi negativi sulla capacità professionale media, sulla correttezza deontologica, sulle possibilità di remunerazione.
Le opposte tendenze sostenitrici del mantenimento dell’apertura degli albi si fondano prevalentemente sul principio della libertà di ogni attività economica, che deve essere riconosciuta anche all’esercizio professionale, ed inoltre alla necessità che questo si svolga secondo le regole della concorrenza.
Dal punto di vista normativo, si dovrebbe prendere atto che vi sono per lo meno due gravissimi ostacoli alla possibilità di reintrodurre la limitazione numerica dell’iscrizione agli albi forensi.
Il primo, e più importante, è che la apertura dagli albi è imposta da regole della Comunità Europea. Ogni tentativo di imporre limitazioni numeriche verrebbe frustrato dall’intervento delle autorità europee.
Il secondo motivo, altrettanto importante ma accidentale perché rimovibile, è la norma costituzionale che impone la obbligatorietà dell’esame di Stato per accedere ad una professione.
Occorrerebbe pertanto una modifica della Costituzione, che è del tutto impensabile. Non si raggiungerebbe infatti in Parlamento la necessaria maggioranza perché la decisione verrebbe influenzata dalla necessità del rispetto delle norme europee.
Le lamentele del numero eccessivo degli avvocati erano vivaci già nel 1921, quando se ne rese interprete Piero Calamandrei con un celebre libretto.
Quest’anno abbiamo superato il livello dei duecentomila iscritti: esattamente 198.041 al 31 dicembre 2008. Il limite dei duecentomila dovrebbe essere stato superato nei primi mesi di quest’anno.
Si noti che questo numero indica gli iscritti agli albi, mentre si ha motivo di ritenere che sia inferiore il numero di chi esercita effettivamente la professione.
Ne dovrebbe essere prova il numero notevolmente inferiore degli iscritti alla Cassa forense. Occorre infatti tener presente che l’iscrizione alla Cassa richiede l’esercizio continuativo della professione, che è provato con le dichiarazioni fiscali che devono superare certi limiti, dimostrativi di un esercizio professionale effettivo.
Tra coloro che non sono iscritti alla Cassa, deve ritenersi prevalente il numero di chi non esercita affatto la professione e che perciò affolla ingiustificatamente i nostri albi.
La uguaglianza dei requisiti per essere iscritti all’albo e per essere iscritti alla Cassa, richiesta da più parti e da molto tempo, consentirebbe un apprezzabile sfoltimento degli albi, con opportuna efficacia selettiva.
L’enorme numero degli iscritti agli albi, conseguente alle nuove iscrizioni avvenute in questi ultimi anni, è dimostrativo del fatto che la domanda di servizi legali nel mercato è aumentata notevolmente così da giustificare l’aumento degli esercenti la professione forense.
Secondo molti, sarebbe importante trovare strumenti selettivi per consentire l’esercizio professionale solo a coloro che possano dare garanzia ai clienti di eseguire prestazioni qualificate e corrette. Un avvocato che non esercita, ma che può esercitare, costituisce un pericolo per i clienti e per la giustizia.
Un esame di Stato selettivo può essere importante; ma più importante sarebbe individuare i mezzi per ottenere una selezione qualitativa anche durante lo svolgimento della attività professionale, quando cioè si può verificare l’effettiva capacità dell’avvocato di esercitare la professione in modo competente e corretto.
L’imposizione dell’esercizio effettivo può molto contribuire ad ottenere questo risultato.
 
Preparazione congiunta per avvocati e magistrati?
 
Si è spesso discusso se sia opportuno prevedere un sistema unico od uniforme per l’accesso alla professione di avvocato ed alla magistratura.
L’argomento fu uno dei temi della conferenza nazionale della giustizia di Bologna nel 1986.
In questo campo, ben poco è stato fatto in Italia, contrariamente a quanto avvenuto in Francia, in Germania ed in altri paesi europei. In Francia, si è a lungo privilegiata (seppure con non pochi ripensamenti) una formazione separata; in Germania, si è invece privilegiata la formazione comune di magistrati ed avvocati.
In Italia, la proposta di una preparazione comune trova molteplici ostilità sia tra gli avvocati, sia tra i magistrati.
Esperienze comuni soprattutto all’inizio dell’attività professionale potrebbero essere utili; ma molti mettono in rilievo la grande diversità che c’è tra l’attività dell’avvocato e l’attività del magistrato, perché altro è difendere, altro è giudicare.
Difendere è più difficile che giudicare e comporta maggiori responsabilità.
Il giudice si trova di fronte a problemi impostati ed elaborati dagli avvocati: egli è chiamato a scegliere la soluzione corretta.
L’avvocato si trova di fronte a situazioni di fatto spesso complesse, che deve inquadrare correttamente ed esporre chiaramente, con approfondite ricerche e con verifiche della validità delle scelte compiute.
Tutto ciò comporta che la preparazione a difendere deve avere contenuti del tutto specifici, che inducono a ritenere la frequenza dello studio dell’avvocato strumento indispensabile per imparare le tecniche difensive.
Non c’è dubbio, però, che i principi della cultura giuridica sono comuni ad entrambe le professioni e perciò potrebbero essere utili molte iniziative congiunte, anche se non costituenti il mezzo unico per l’accesso alle due professioni.
L’evoluzione in atto per la professione di avvocato contribuisce ad accentuare la differenza di preparazione richiesta per l’avvocato rispetto a quello richiesta per il magistrato.
La unitarietà, almeno parziale, del tirocinio per futuri giudici e futuri avvocati, sembra essere consigliata da ragioni formative e morali, come ad esempio quella dei buoni rapporti tra i giudici e gli avvocati, rapporti certamente facilitati da una originaria comunanza di preparazione professionale.
 
L’albo speciale per il patrocinio avanti le magistrature superiori
 
Merita attenzione particolare l’accesso all’albo speciale per il patrocinio avanti le magistrature superiori.
Secondo la legge vigente, l’iscrizione all’albo speciale può avvenire in più modi:
a)     con l’esercizio della professione di avvocato per dodici anni;
b)     con un esame, che può essere sostenuto dopo cinque anni di l’iscrizione all’albo di avvocato;
c)     di diritto.
Per conseguire la iscrizione all’albo speciale per anzianità è prescritta la pratica presso un avvocato che esercita abitualmente avanti le magistrature superiori. Trattasi però di prescrizione del tutto inosservata.
L’esame è sempre stato molto selettivo, anche se facoltativo, e ben pochi lo hanno sostenuto e superato. Ciò perché il superamento dell’esame richiede voti molto alti: la media di otto decimi tra tutte le tre prove scritte e la prova orale e un voto non inferiore a sette in ciascuna prova, con l’effetto che i candidati sono stati sempre pochissimi, mentre le bocciature sono sempre state molto numerose.
La possibilità di accedere all’albo speciale con il semplice esercizio della professione di avvocato per un numero determinato di anni, come accade ora, ha inflazionato il nostro albo speciale, che adesso ha molto più di trentamila iscritti, destinati a crescere notevolmente con l’arrivo delle nuove generazioni molto più numerose delle vecchie.
In Francia, il numero di avvocati abilitati al patrocinio avanti le magistrature superiori è molto limitato e il possesso di questo titolo conferisce un grande prestigio.
In Italia, il titolo contraddistingue solo gli avvocati non più giovanissimi.
Da tempo, si richiedono innovazioni, che consentano di limitare il numero degli iscritti all’albo speciale.
Il sistema più logico potrebbe essere imporre come obbligatorio l’esame, eventualmente con una severità di votazione meno rigorosa di quella attuale.
Se si volesse escludere la necessità dell’esame, bisognerebbe prescrivere corsi di preparazione particolarmente rigorosi e selettivi da affiancare all’anzianità dell’esercizio professionale.
La principale difficoltà dell’esame attuale è che raramente un avvocato è padrone di tutte le discipline oggetto delle tre prove scritte (civile e procedura civile, penale e procedura penale, amministrativo). E ciò soprattutto per il fatto che c’è una crescente tendenza alla specializzazione.
La necessità dell’esame per accedere all’albo speciale è perciò contrastata da chi svolge una attività specialistica, soprattutto i penalisti.
Si deve, però, anche considerare che chi patrocina in Cassazione dovrebbe essere padrone di tutte le materie giuridiche per la loro frequente interconnessione.
Pertanto, l’accesso all’albo speciale dovrebbe essere riservato a professionisti che abbiano un’ottima preparazione in ogni settore del diritto.
Ed è preferibile che ciò venga accertato con un esame selettivo.
I corsi di formazione dovrebbero mirare soprattutto a colmare le lacune conseguenti ad un esercizio professionale specialistico.
Solo così il titolo potrebbe attribuire prestigio all’avvocato che lo ha conseguito e offrire garanzia di competenza a chi si affida a lui.
 
Le iscrizioni di diritto
 
L’iscrizione di diritto è sempre stata prevista dalle leggi professionali prevalentemente per docenti universitari e per magistrati.
Nelle proposte di riforma dell’ordinamento professionale, le iscrizioni di diritto non sono più ammesse.
Già ora si può ritenere che le norme sulle iscrizioni di diritto siano state implicitamente abrogate dalla Costituzione, nella quale l’iscrizione all’albo professionale è condizionata al superamento dell’esame di Stato. Mentre appare incostituzionale la legge 24 febbraio 1997 n. 27, laddove mantiene ferme le norme (incostituzionali) che regolano le iscrizioni di diritto.
Ma le domande di iscrizioni di diritto continuano ad essere accolte.
Per aggirare l’evidente ostacolo della necessità dell’esame di Stato, per chi non supera l’esame di avvocato, è stato sostenuto che è sufficiente un esame “equipollente” rispetto a quello di avvocato.
Solo il Consiglio dell’Ordine di Verona ha negato l’iscrizione ad un magistrato con ampia motivazione. Secondo il Consiglio di Verona, la norma che consente l’iscrizione di diritto è stata abrogata dalla Costituzione, che ha prescritto l’esame di Stato per l’iscrizione all’albo; e non possono essere ammissibili esami “equipollenti”.
Una prima osservazione circa l’esame “equipollente”, è che questa caratteristica potrebbe (teoricamente e con molti dubbi) esserci per l’esame di magistrato, non certo per le altre categorie (ad esempio, giudici onorari o ex prefetti).
Un elemento trascurato, ai fini del giudizio di equipollenza, è che l’esame di avvocato deve essere preceduto dal tirocinio, che caratterizza la preparazione verso l’esercizio professionale; tirocinio ora regolato con particolare specificità e con molto maggior rigore per garantire una buona preparazione.
Ma, soprattutto, vi è una norma, inspiegabilmente ignorata, che esclude la possibilità di equiparare l’esame di magistrato all’esame di avvocato. E’ l’art. 18, comma 2 della legge professionale vigente, secondo il quale lo svolgimento per due anni della funzione di magistrato è equivalente alla pratica professionale.
L’esercizio delle funzioni di magistrato, pertanto, consente di partecipare all’esame di avvocato senza aver fatto la pratica professionale.
E’ però evidente che, se l’esercizio delle funzioni può sostituire la pratica, vuol dire che l’esame di magistrato, già sostenuto, non può essere “equipollente” all’esame di avvocato.
E, senza esame di Stato, non si può esercitare una professione regolamentata per norma costituzionale.
E’ bensì vero che l’iscrizione di diritto può essere chiesta dopo un ben maggior numero di anni di esercizio della funzione, ma giustamente è stato osservato che, ai fini dell’iscrizione di diritto, l’esercizio di funzioni non può in alcun modo considerarsi sostitutivo o equivalente ad un esame.
 
Gli “abogados
 
Altra questione dibattuta in merito all’accesso all’albo di avvocato si ha per gli “abogados”, cioè per coloro che ottengono l’iscrizione ad un albo forense in Spagna e che poi si trasferiscono in Italia.
Per l’iscrizione all’albo in Spagna è sufficiente la laurea in giurisprudenza, non essendo prescritto l’esame di Stato.
Per il laureato italiano, è stato ritenuto sufficiente ottenere la conferma spagnola della laurea in giurisprudenza italiana per ottenere l’iscrizione nell’albo spagnolo degli “abogados”.
Ottenuta l’iscrizione spagnola, questi laureati chiedono l’iscrizione in un elenco italiano degli avvocati stabiliti, con il titolo di abogado. E’ quindi possibile, dopo 3 anni di iscrizione a questo elenco, l’acquisto del titolo di avvocato e la integrazione nell’albo ordinario.
La illegittimità della utilizzazione in Italia del titolo professionale spagnolo, non seguito dal prescritto esercizio professionale, è stata affermata dalla Corte Europea a proposito della iscrizione di un ingegnere italiano che aveva bensì ottenuto in Spagna la conferma del suo diploma, ma che non aveva esercitato la professione in Spagna prima di chiedere il trasferimento.
Giustamente, l’Unione Triveneta degli Ordini Forensi, con una interessante mozione ha segnalato la illegittimità di questo espediente poiché è requisito essenziale per la utilizzazione del titolo professionale spagnolo in Italia che l’abogado abbia esercitato in Spagna la professione per almeno due anni.
Secondo L’Unione Triveneta va dunque opposto un rifiuto di iscrizione all’abogado, che non sia in grado di dimostrare in modo idoneo e veritiero il compimento del prescritto esercizio professionale in Spagna.
La illegittimità della iscrizione comporta la cancellazione dall’albo, dovuta nei confronti di chi l’abbia ottenuta senza averne titolo.
Non c’è dubbio che, in tal caso, la cancellazione è legittima e obbligatoria
Il fenomeno è comunque destinato ad esaurirsi, perché anche la Spagna su pressione di altri Stati Europei, ha istituito un esame di Stato in particolare per la professione forense.
 
La donna avvocato
 
Al giorno d’oggi, sembra impossibile che le prime donne si siano potute iscrivere in Italia all’albo degli avvocati solo dopo il 1919, quando furono abrogate le norme che limitavano alle donne l’esercizio di alcuni diritti civili con la legge 17 luglio 19189, n. 1776.
In precedenza, vi erano stati alcuni tentativi di donne che avrebbero voluto esercitare l’avvocatura, ma che furono ostacolate dai consigli dei collegi degli avvocati e procuratori e ancor più dalla Magistratura.
Il caso più noto è di Lidia Poët di Pinerolo, che ottenne l’iscrizione all’albo degli avvocati di Torino nel 1881.
Il procuratore generale di Torino impugnò la delibera di iscrizione alla Corte d’Appello, compente in forza della legge del 1874.
Con motivazioni, che oggi appaiono ridicole, assurde e disonorevoli per chi le ha scritte, la Corte d’Appello annullò la delibera di iscrizione e la Corte di Cassazione di Torino confermò questa sentenza.
La motivazione “giuridica” faceva riferimento al fatto che le donne non godevano di diritti politici e solo in parte di quelli civili e che erano soggette all’istituto della autorizzazione maritale, che sottoponeva vari atti commerciali e di gestione patrimoniale al consenso del coniuge.
Il nucleo principale delle motivazioni delle sentenze, che hanno deciso sull’argomento, era però relativo alla presunta inferiorità della donna e alla mancanza in lei di caratteristiche psicologiche e culturali idonee ad esercitare la professione di avvocato.
Vi fu chi sostenne che era consentita alla donna laureata in giurisprudenza e che avesse superato l’esame di avvocato l’attività di consulente, ma non quella di patrocinante. Quest’ultima avrebbe richiesto dall’avvocato la veste di pubblico ufficiale, che non poteva essere assunta dalle donne.
Lunga e senza successi fu la serie di iniziative di donne che cercarono di ottenere l’iscrizione all’albo. Tra costoro, va ricordata anche Teresa Labriola, la quale fu iscritta all’albo degli avvocati di Roma nel 1912 dal Consiglio che le riconobbe la possibilità di esercitare la pubblica funzione di avvocato, perché già esercente la pubblica funzione di docente universitario, la quale consentiva l’iscrizione di diritto all’albo. Ma Corte d’Appello di Roma e la Cassazione le negarono il diritto di iscrizione all’albo.
Le vicende delle donne che cercarono di poter esercitare la professione di avvocato sono state recentemente ricordate in un articolo di Francesca Tacchi.
L’autrice riferisce che, nel 1921, le donne italiane le quali esercitavano l’avvocatura erano già 85 ed aumentarono successivamente, ma con molta lentezza, fino agli anni successivi alla seconda guerra mondiale.
Mentre era già apprezzabile il numero delle donne avvocato, solo nel 1963 fu riconosciuta alle donne anche la facoltà di accedere a tutti gli uffici pubblici e a tutte le professioni, compresa quella di magistrato.
L’autrice conclude affermando che ora appare corretto parlare di una “tendenza alla femminilizzazione della professione forense”.
Infatti, negli ultimi anni, il numero delle donne entrate negli albi forensi è stato addirittura maggiore di quello degli uomini e la perdurante prevalenza numerica di costoro negli albi è dovuta soltanto al fatto che l’ingresso della donna in avvocatura è recente.
Da tempo, è maggiore il numero delle donne che fanno la pratica di avvocato e di quelle che sostengono l’esame e vengono promosse.
Chissà che faccia farebbero i magistrati delle Corti d’Appello e della Cassazione, i quali negarono alle donne l’accesso all’avvocatura a cavallo dell’800 e del ’900, se frequentassero ora i corridori di un tribunale traboccanti di donne avvocato!!
 
Dario Donella
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8.06.09. Affari nostri : Novità nella dichiarazione dei redditi alla Cassa Forense (modello 5). Di Federico Bucci Riduci
Attenzione, vale per tutti
 
Rammento preliminarmente che l’invio del modello 5 è obbligatorio, a pena di sanzioni, per tutti gli iscritti negli albi forensi, anche se iscritti soltanto nel corso dell’anno 2008 (quindi non soltanto per gli iscritti alla Cassa di Previdenza) ed anche se non avessero prodotto alcun reddito, ai sensi degli artt 17 e 18 della legge 576/1980 ed ai sensi degli artt 9 e 10 della legge 141/1992. 
Sono tenuti all’invio del modello 5 anche i praticanti abilitati al patrocinio che avessero già ricevuto dalla Cassa la comunicazione di avvenuta iscrizione per l’anno 2008, come da essi stessi richiesta espressamente (essendo facoltativa l’iscrizione dei praticanti abilitati).
Il termine per l’invio del modello 5/2009 relativo ai redditi prodotti nel 2008, resta fissato al 30.9.2009 per il modello cartaceo, mentre il modello telematico potrà essere inviato fino al 30.11.2009.
Riferisco di seguito sulle novità.
 
Nuove aliquote per i contributi da versare quest’anno
 
Più volte ho illustrato con discorsi e scritti i motivi della insorta urgenza di stabilizzare per oltre trenta anni i bilanci attuariali della nostra Cassa di Previdenza e Assistenza.   Tale esigenza era emersa negli ultimi anni, anche per il primato della benedetta longevità che l’avvocatura italiana si è guadagnata per il suo benefico, continuo esercizio cerebrale, sicché gli attuari premevano, raccomandando di rimediare con maggiori contributi, sufficienti a garantire il versamento delle pensioni per tanto maggiore arco di tempo di sopravvivenza.
La riforma (c.d. parametrica) del 2006, che mirava ad assicurare tale stabilità, è stata approvata soltanto parzialmente a novembre 2006 dai tre ministeri vigilanti, che avevano approvato soltanto l’aumento dei contributi soggettivi da 10% al 12% fino al tetto dei reddito annuale utile per il calcolo della pensione. I detti ministeri vigilanti peraltro non avevano approvato anche il pur indispensabile (per gli attuari) aumento dei contributi integrativi dal 2% al 4%, con la falsa motivazione che tale aumento sarebbe restato a carico di Sua Maestà Il Consumatore. 
La nostra Cassa ha impugnato dinanzi al TAR tale diniego di approvazione, segnalando che si trattava di una vistosa “illusione finanziaria” (come è sacrosantamente previsto dalla Scienza delle Finanze).
In tale situazione, per quella riforma così parzialmente entrata in vigore con effetto dai redditi del 2008, dalla imminente dichiarazione 2009 dei redditi alla  nostra Cassa, l’aliquota del contributo soggettivo sui redditi 2008 passa dunque al 12% fino al tetto di euro 85.250,00, fermo restando il 3% sulla parte di reddito eccedente tale tetto.
Quanto ai pensionati di vecchiaia, che siano rimasti iscritti negli albi ed abbiano ancora un reddito professionale, a decorre dal sesto anno successivo al pensionamento l’aliquota del contributo soggettivo, fino al medesimo tetto (di euro 85.250,00), passa dal 3% al 4%, fermo restando il 3% sulla parte eccedente.
 
Nuovo modello 5 telematico (a prova di errore)
 
Poiché ancora tanti iscritti, distrattamente, incorrono in errori di calcolo (almeno venti degli attuali 80 Delegati vi sono incorsi) mi permetto di raccomandare l’invio telematico di tale dichiarazione annuale dei redditi, che è “assistita”, guidando con facilità il dichiarante, evitandogli errori.
Pochi Colleghi si erano avvalsi finora di tale procedura assistita, perché la dichiarazione telematica doveva essere sottoscritta con la mitica “firma digitale”, che pertanto ora è stata eliminata, per indurre più facilmente i dichiaranti ad avvalersi del metodo di procedura assistita per l’invio telematico del modello 5 di questo anno.
Tale invio è consentito telematicamente, senza sanzioni per il ritardo, fino al 30.11.2009, mentre il modello cartaceo (quello che segnala i tanto frequenti errori dei dichiaranti, nei pur elementari calcoli) resta come prima consentito (soltanto) fino al 30 settembre.
La dichiarazione assista ed il suo invio telematico sono stati fortunatamente semplificati e sono rinvenibili nel sito www.cassaforense.it, attraverso la sezione “accesso riservato” (il primo link, in alto a sinistra). 
Chi non conoscesse il proprio “PIN” ed il suo codice meccanografico (peraltro quest’ultimo già prestampato nei modelli 5 degli anni scorsi), può ottenerli nella detta sezione “accesso riservato”, dalla quale può ottenere la compilazione assistita e l’invio telematico, senza rischiare errori e senza dover fare la fila all’ufficio postale per l’invio della raccomandata (con relativo costo).
I termini per il pagamento dei contributi in autoliquidazione restano gli stessi per le due rate: 31 luglio e 31 dicembre 2009.
 
Modello 5 cartaceo non più già personalizzato
 
Sebbene io apprezzi il benevolo metodo introdotto dalla Cassa per la compilazione assistita del modello 5/2009 (a prova di errore e per risparmiare il tempo ed il costo della raccomandata), non approvo che - per indurre tutti ad usare il computer - ciascuno di noi riceva da quest’anno in poi (dai primi di luglio 2009) soltanto le istruzioni per la compilazione del modello 5, ma non anche il relativo modello cartaceo, che dovrà procurarsi presso il Consiglio dell’Ordine.   Mi sembra come se un medico paternalista prescriva un cucchiaio di olio di ricino, che farà certamente bene, ma non è gradevole.
Insomma, cara Cassa, abbiamo capito che è meglio imparare forzosamente, per il nostro bene, a compilare il modello 5 con il computer.
Inoltre, mentre gli Avvocati commettevano già tanti errori di banale calcolo sui pochissimi dati numerici da scrivere sui modelli 5, prestampati per tutte le restanti informazioni  che ci riguardavano, ora i modelli 5 che si potranno ritirare presso i Consigli degli Ordini non saranno prestampati con i nostri dati (nome, data di nascita, indirizzo, numero meccanografico, ecc.), sicché conoscendo i nostri Colleghi, temo che aumenterà il tasso di erroneità da parte di coloro che vorranno riempire il modulo cartaceo.
 
Pagamento dei contributi in autoliquidazione
 
Oltre ai moduli di pagamento personalizzati (almeno essi) che troveremo nel plico che riceveremo ai primi di luglio, insieme alle istruzioni, i moduli personalizzati per il versamento (M.Av.) bancario, sono anche rinvenibili nella ridetta sezione “accesso riservato” del sito www.cassaforense.it, tali moduli possono essere rinvenuti automaticamente compilati e soprattutto con gli importi calcolati bene, così come possono essere predisposti automaticamente gli ordini di bonifico personalizzati, in alternativa ai moduli M.Av..
Dicono che tutto ciò sia per il nostro bene e penso che sia vero.
 
Il Vostro Delegato Federico Bucci
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4.06.09. Messaggio ai Delegati della Cassa Forense in occasione del loro insediamento. Di Federico Bucci Riduci
L’inaspettato ritmo accelerato della longevità forense, quasi a tutti ignoto
Assisto gratuitamente un gruppo di ricercatori di ogni età che negli ultimi tre anni hanno già brevettato circa 30 ritrovati straordinari in campo medico, biochimico e bioingegneristico, miranti al bene della salute che, alla fine della linea di produzione, nei prossimi anni, altereranno nel mondo gli attuali limiti alla già notevole longevità. Da tali angeli (o ammirabili geni, se si vuole essere laici) prossimamente saranno brevettati altri dieci ritrovati.   Mi considero un privilegiato a pormi a disposizione professionalmente di tali personaggi, essendo tanto di più quello che ricevo da loro, rispetto a quello che posso fare per essi.
Tanto riferisco a Coloro che, come me, nel Comitato dei Delegati hanno l’obbligo di essere sempre un passo avanti, nella ossessiva cura del bene comune, poiché quanto ho appreso da quella conventicola di avanguardia intellettuale, culturale e professionale avrà sicuri riflessi entro un decennio sulla longevità (per quanto ci riguarda - come nostro dovere - sulla longevità degli Avvocati).   Prima che le comuni conoscenze e gli attuari abbiano vengano influenzati da quello che di straordinario ci aspetta passerà almeno un lustro.
La gente è finalmente stufa di previsioni metereologiche che non si avverano e comincia a guadar male i redattori degli oroscopi, mentre ancora non si è ribellata e resta rassegnata alle giustificazioni degli attuari dopo decenni di previsione aritmetiche (con poche variabili), giustificandosi essi sempre - a posteriori - con impreviste guerre, siccità, cataclismi, svalutazioni monetarie, e simili, sicché - beati loro - avrebbero sempre una giustificazione a posteriori dei loro conteggi.
In tale prospettiva, la timida riforma previdenziale del 2006 e quella proposta nel settembre 2008 debbono essere riguardate alla luce di quello che sicuramente avverrà e che i Delegati debbono affrontare con visione strategica illuminata, dovendo essere bravi, anzi i migliori possibili, essendo l’esigenza di severità che io sento il frutto di una visione aristocratica della nostra categoria, ciò che non è ancora reato (e che neppure ritengo un difetto).
Fronteggiare l’emergenza
Il Comitato dei Delegati, il Consiglio di Amministrazione e chi li coordinerà dal prossimo 5 giugno non dovranno cadere mai più nella oziosa succubanza dei mercati finanziari, che da trentacinque anni fondatamente vitupero (da quando per tre anni esercitai la professione anche a Londra) avendo sempre più scoperto di quel mondo la delinquenziale avidità e la organizzazione mafiosa tra affaristi, scalatori spregiudicati, cialtronesche aziende di certificazione e di valutazione, banche coinvolte, mentre tutti costoro depredavano i fessi che si illudevano che se un gruppo si faceva quotare in borsa era perché voleva “condividere” i guadagni con i piccoli azionisti. Ispirata da me la mia figlia piccola si è laureata con una tesi su “La responsabilità delle società di rating”, scagliandosi con veemenza apocalittica su quel sistema di imbroglioni. Nel 2008 lei ed io abbiamo avuto ragione. Ahimè.
Una volta l’allora Presidente degli Stati Uniti aveva tentato di diffondere l’allarme su tale consorteria di furfanti, ma non andò lontano, restando impegnato a difendersi dalle rivelazioni su quanto faceva nella Stanza Orale.
Ohibò.
Nel quadriennio precedente vanamente accennai (forse con il mio limite di essere riguardoso verso chi poteva essere maestro di investimenti finanziari) alla sacrosanta esigenza che la Cassa iniziasse - almeno con prudente circospezione - ad acquistare se non proprio i lingotti custoditi dalla Banca d’Italia, almeno certificati rappresentativi dell’oro, che tutti sappiamo come sia più che triplicato di valore in un decennio (mentre i titoli per milioni di euro della Cassa Forense della Lehmann Brothers diventavano coriandoli ed altri rischiavano di fare anche essi tale fine).
Quando nel 1929 lo stato italiano convenne di indennizzare lo stato vaticano per le immense appropriazioni dei beni immobiliari ecclesiastici dal 1870 in poi, l’immane cumulo di denaro versato nelle casse vaticane lasciò basiti gli allora sonnacchiosi amministratori delle elemosine, che si sentirono inadeguati a gestire l’enormità.   Si rivolsero all’allora Presidente della Banca Commerciale (che passava all’epoca per una banca d’affari d’avanguardia, rispetto alle banche agricole) ottenendone il consiglio di investire per un terzo in oro, per un terzo in titoli e per un terzo in immobili. Nessuno si è “pentito” (considerato l’ambiente) di aver seguito quel provvido consiglio.  
Ancora, sono fermamente convinto che il più sicuro business redditizio in Italia sia nell’energia eolica, segnatamente nel ventosissimo Appennino daunio (per chi, come me, non si fidi di investire anche nella sponda albanese dell’Adriatico, altrettanto ventosa).   Ivi, un impianto eolico che dura 25 anni, costato in tutto 500 mila euro l’uno, con finanziamenti bancari agevolati fino a 430.000 euro, frutta circa 150.000 euro l’anno.   Alla faccia dei maestri dei mercati finanziari, lustrati da frottole perfidamente complicate come l’antica arte aruspicina, fondata sul nulla.   
Con il cappello in mano prego i nuovi Delegati di prendere in considerazione di indirizzare le iniziative in investimenti anche - pur se in minima parte - sull’energia eolica, anziché stupidamente in azioni o obbligazioni dell’intermediario ENEL.
Ho anche il dovere assoluto di segnalare che da circa 15 anni i Benetton sono proprietari di una intera regione argentina, dove hanno allevamenti sterminati e industrie agroalimentari, mentre anche la finanziaria Goldman Sachs possiede grandissimi allevamenti di conigli e pollame in Cina, mentre la Cina ha colonizzato il Senegal ricco di acqua con le sue tenute agroalimentari. Se sembra ovvio che lo facciano gli eredi del Gruppo Ferruzzi, così pure fanno le Assicurazioni Generali, banche e finanzieri miranti al futuro, allorché il miliardo in più di abitanti sulla terra non potrà essere sfamato con i pezzi di carta del monòpoli dei mercati finanziari. Aiuto.
Spero che il Comitato indirizzi il Consiglio di amministrazione ad investire direttamente - almeno un po’, inizialmente - nell’industria agroalimentare, rifuggendo dalla intermediazione di investimenti in azioni o obbligazioni delle industrie agroalimentari quotate in Borsa (per il solito scopo filantropico di condividere i guadagni con i nuovi piccoli azionisti).
Dopo i suggerimenti che ho espresso in coscienza, mi permetto di ipotizzare che - abolendo la quasi totalità della pletora di commissioni di studio dei Delegati - proprio i Delegati siano resi responsabili, insieme ad un Consigliere di amministrazione per ogni settore, di alcuni investimenti che dovranno curare con scrupolosa, occhiuta passione per il bene comune, anziché riunirsi in una delle tante commissioni di studio finora vegetanti, tranne quelle poche fondamentali.
Così sento che i Delegati potrebbero esprimere quanto hanno capito degli affari nell’esercizio professionale, dotati come sono di una formidabile attrezzatura logico giuridica, di capacità intellettuali e tanta benedetta voglia di fare (forse che i Consiglieri di amministrazione sono nati più bravi dei Delegati ?   Vogliamo allora parlare della montagna immane di soldi spesi negli anni dai nostri passati Amministratori per ristrutturare i locali di una tenutella - mi pare di cinque ettari - che la Cassa ha disgraziatamente ereditato qualche decennio fa, senza sapere cosa farne ?).
Infine, abusando dell’attenzione di coloro con i quali mi divido lo stesso pane e che hanno i miei stessi obblighi deontologici verso la Cassa Forense, mi permetto di segnalare che una minima parte degli investimenti potrebbe essere dedicata a finanziare la preparazione dei giovani Colleghi, non soltanto in nome della solidarietà derivante dal senso di appartenenza, ma anche con il fine di farli diventare professionisti di successo (dopo specializzazioni in Cina e simili) e così poi ottimi contribuenti della stessa Cassa Forense, per il bene comune.
Anziché onerarsi pietendo un finanziamento bancario il cui costo è pure aggravato da garanzie ipotecarie, il giovane Collega dovrebbe poter presentare il suo piano di specializzazione ed ottenere un finanziamento a bassissimo tasso, con la garanzia della firma sua e di due avvocati (la Cassa potrebbe rivalersi su di essi, persino se pensionati).   Sappiamo bene che i piccoli mutui a basso costo ad una utenza controllabile (già dai modelli 5 dei due garanti) sono quelli che vengono sempre onorati.
Credo fermamente che chi non prova a crearsi il futuro che desidera, deve accontentarsi del futuro che gli capita. 
Dovremo dunque raccomandare al nuovo Presidente del Consiglio di amministrazione di regolarsi nel compiere i primi, fatali passi negli investimenti mirati al giusto e al bene , per la stabilità della nostra previdenza, come mi sono consentito di proporre fin qui, con uno stile confidenziale, cònsono per coloro che mi sono fratelli nella fatica quotidiana del vivere.
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7.06.09. Una sentita raccomandazione: controllate la Vostra posizione contributiva sull’estratto conto che vi è appena arrivato. Di Federico Bucci Riduci
La Cassa Forense ha recentemente inviato a tutti gli iscritti alla Cassa stessa, non pensionati, l’estratto conto riassuntivo della propria posizione previdenziale.
I dati contenuti nell’estratto conto della nostra Cassa sono aggiornati al 31.12.2008, anche se, per gli ultimi anni, è precisato che gli importi dichiarati sono soggetti ancora a verifica.
Lo scopo dell’invio degli estratti conto previdenziali forensi è quello di informare ogni iscritto sulla sua posizione previdenziale, segnalandogli eventuali irregolarità contributive, periodi di inefficacia dell’iscrizione, anzianità di iscrizione maturata, nonché consentire il diretto contraddittorio con l’interessato, per integrare (ed eventualmente correggere) i dati essenziali della posizione contenuta negli archivi informatici della Cassa (redditi dichiarati, contributi versati, riscatti, ecc.).
Mi preme raccomandare che coloro che riscontrassero una propria omissione contributiva, si affrettino a sanarla, evitando che - decorsi i cinque anni di prescrizione - la Cassa debba considerare perduto l’intero anno ai fini pensionistici, limitandosi a restituire l’importo insufficiente già versato.
Trattandosi di tale nuova e tanto massiccia informazione, riguardante circa 130.000 iscritti, la Cassa ha potenziato gli uffici dedicati all’evasione della corrispondenza, nonché l’Information Center (06.362111), portandolo a 18 unità: in occasione dell’arrivo degli estratti conto, il detto Information Center telefonico osserverà il più lungo orario straordinario dal 25 maggio al 12 giugno, dal lunedì al venerdì dalle ore 9.00 alle ore 13.00 e dalle ore 14.30 alle 17.00.
 
Il Vostro Delegato Federico Bucci 
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