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Pericolo mortale: possiamo perdere la nostra Cassa Riduci
  

28.12.2006.  Per percepire la gravità della situazione attuale della nostra previdenza occorre preliminarmente rammentare - ai molti che si illudono per ignoranza e cronica indifferenza -  che la riforma attuata con la legge 576 del 20.9.1980 aveva abolito il sistema a capitalizzazione individuale (secondo il quale - grosso modo - ciascuno versava per accrescere il proprio peculio), per passare al sistema a ripartizione, che da allora ha garantito la pensione in misura assai sproporzionata a quei tanti Colleghi che avevano versato poco o pochissimo.

 
A tale solidarietà forzata i soliti attivisti del nostro mondo dettero lustro con enfasi, straparlando di “solidarietà intergenerazionale”.   Nel 1980, nessuno di noi - allora me compreso ahimé - si preoccupò di capirci qualcosanella generale distrazione tutti ci lasciammo convincere dallo slogan ripetutoci per anni “la Cassa è ricchissima”.
 
Al metodo poco ortodosso (almeno in un’ottica puramente finanziaria) di ripagare assai troppo chi aveva versato tanto poco (negli anni cinquanta-settanta, in epoca di evasione contributiva colossale), si è aggiunto l’aggravio delle uscite pensionistiche per l’aumento costante della durata della vita umana, condizione felice nella quale il nostro Paese primeggia, con la nostra categoria quasi al vertice della longevità, il che ci fa piacere per coloro ai quali abbiamo da 26 anni pagato la pensione, ma ci spaventa per la prospettiva che noi diventeremo vecchissimi, ma poveri.
 
Rivolgendomi in questo modo a tanti Colleghi, debbo esprimermi in modo semplicistico e me ne scuso con coloro che avrebbero compreso espressioni più tecnicamente sofisticate.   Inoltre, riferisco cose spiacevoli sol perché schiacciato dal senso del dovere, consapevole di turbare il sonno ai Colleghi lettori, ai cui interessi sono tanto devoto.  
 
Dunque, il notevole allungamento della vita dei pensionati (e dei coniugi superstiti), non immaginabile allorché fu varata quella -già di per sé- micidiale riforma del 1980, ha fatto infine risultare attuarialmente che assai prima di un trentennio le entrate contributive della Cassa sarebbero state superate dalle uscite pensionistiche, con l’inevitabile successiva erosione del patrimonio e così la fine di tutto. Il processo sarebbe accelerato dalla previsione legislativa di messa in liquidazione degli enti previdenziali privati già dopo tre anni di bilanci negativi (val dire, senza aspettare anche che le impetuose uscite mangiassero tutto il patrimonio).
 
Per scongiurare tale sciagura prevista tra una ventina di anni (circa 17, più 3 di successivi bilanci negativi), circa un anno fa  il Comitato dei Delegati - in quel caso anche con il mio voto, dispiaciuto, ma in coscienza convinto - deliberava l’aumento dal 2007 del contributo soggettivo dal 10 % al 12% e di quello integrativo dal 2% al 4%: dopo mesi di attesa è infine pervenuta lo scorso 21 dicembre l’approvazione di concerto dei tre ministeri vigilanti (necessaria per legge), ma autorizzante soltanto l’aumento del contributo soggettivo, non anche di quello integrativo perché il rimborso di quest’ultimo, previsto dalla legge a carico dei clienti, danneggerebbe l’economia nazionale.   Ohibò.
 
La Scienza delle Finanze ci insegna invece che  è certamente una illusione finanziaria che i clienti ci rimborsino davvero il contributo integrativo previdenziale, ma la manovra deliberata dal Comitato dei Delegati, intanto, non ci è stata per metà approvata dai ministeri vigilanti, sebbene la situazione attuariale della nostra Cassa la imponga per superare la previsione di stabilità per almeno un trentennio, come avevamo deliberato non per obbligo di legge, ma per prudenza.  
 
La trappola si chiude inesorabilmente con il comma 394-bis dell’emendamento del governo al disegno di legge finanziaria recentemente approvato dal Parlamento, con la pistola alla tempia del voto di fiducia:   con tale tremenda novità viene imposta per legge agli enti previdenziali (come la nostra Cassa) una stabilità coatta del bilancio tecnico per almeno 30 anni, sotto comminatoria della solita messa in liquidazione (così senza attendere tra 17 anni i tre esercizi successivi in passivo, come dispone la legge vigente). 
 
Avete capito bene: da una parte non ci viene approvata la manovra dolorosa dell’aumento delle contribuzione (invocando - per ignoranza degli amministrativi e/o perfidia dei politici - una risibile illusione finanziaria, ben comprensibile anche da chi non ha studiato la Scienza delle Finanze), dall’altra parte preparano il cappio al collo della nostra Cassa che attuarialmente non può assicurare almeno un trentennio di stabilità senza l’aumento delle contribuzioni.
 
I diavoli tentatori nostri nemici, nello stesso tremendo comma 394-bis del detto emendamento governativo, offrono la via di uscita:   una maggiore “flessibilità” di intervento in mano ai responsabili dei detti enti previdenziali privati, sicché oltre alla possibilità legale già esistente di deliberare l’aumento o la diminuzione dei contributi (ma con certi vigilanti), si offre mano libera per ridurre le pensioni (liquidabili in futuro).
 
A tali follie c’è una alternativa che i “vigilantes” probabilmente non respingerebbero:   aumentare il contributo soggettivo, dall’attuale 10% al 16%, sperando essi che allora gli avvocati si vadano tutti a gettare sotto il tram per la disperazione.
 
Se è vero che ora, con un diniego pretestuoso di approvazione della manovra deliberata dalla Cassa e con il comma 394-bis i nostri nemici ci rovinano, è purtroppo ancor più vero che la tragedia fu innescata con la riforma del 1980, da quando cioè abbiamo versato i nostri contributi ignari, illudendoci di contribuire se non ad accrescere un capitale individuale (come ante 1980), almeno ad accrescere un capitale collettivo, mentre invece i soldi li gettavamo in buona parte in un pozzo di beneficenza.
 
Anche io - come tutti i miei Amici - nell’imminenza del colpo che portò all’approvazione della tanto glorificata riforma del 1980 non mi interessavo ancora del bene comune ed ora non mi resta che maledire l’indifferenza della nostra categoria, che la porta da sempre ad abdicare alla diretta cura dei propri interessi, abbandonati (senza neppure una delega consapevole) nelle mani di rappresentanti che spesso non sono meritevoli di tanta fiducia.
 
Ora smettetela di chiedermi cosa io possa fare per Voi, chiedeteVi piuttosto cosa Voi d’ora in poi possiate fare per noi.
 
Si tenterà comunque di uscire dalla trappola, con un ricorso al TAR per il diniego dell’autorizzazione all’aumento del contributo integrativo (come peraltro da tempo autorizzato ad altre categorie ... che non danneggiano l’economia nazionale ?), ma l’agghiacciante situazione ci insegni a votare per le nostre istituzioni soltanto sulla base di valutazioni delle figure dei candidati sul piano morale, intellettuale, culturale, non distrattamente per compaesani, per tromboni retorici, per cinici baciatori (che ci inducono ingannevolmente a ritenerli nostri amici), ovvero per chi ha chiuso un occhio per favoritismo o per distrazione, per compagni in competizioni sportive (a costoro continuate a volere bene, sol perché ci avete sudato insieme durante una partita, ma continuate soltanto a giocarci insieme). 
 
Il rischio che la nostra previdenza sta correndo è mortale: se lo supereremo, la lezione dovrà indurVi a smetterla di trascurare i Vostri interessi.
 
In questo momento abbracciamoci tutti, con trepidazione ed affetto. 

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